Parli dei riformisti del Pd e pensi a lui: Lorenzo Guerini. L’ex ministro della Difesa, oggi presidente Copasir, ha saputo tenere saldamente insieme, nell’esperienza del governo giallorosso, cultura istituzionale e sensibilità riformista, contemperando volontà europea e necessità atlantica. Lo abbiamo incontrato per una intervista ad ampio spettro.

Venti giorni dal voto europeo. Che scenari si aprono?
«Dal punto di vista politico mi sembra che le prospettive siano ancora molto incerte e dipenderanno dai risultati elettorali. Al centro c’è il futuro dell’Europa, minacciato dalla pressione dell’ultradestra e di forze euroscettiche presenti sia a sinistra che a destra che minano il progetto, sempre più necessario nel mondo di domani, dell’integrazione politica europea. Le letture nazionali del voto, pur legittime, vengono molto dopo. Di fronte alle sfi de alla nostra sicurezza e all’alba di un nuovo ordine globale da costruire, in gioco c’è davvero l’Europa. E la prospettiva non può che essere un’idea forte, solidale, convincente dell’Europa stessa. Che sia degna, ad esempio, della speranza che alberga nei cuori dei giovani e delle donne che manifestano con coraggio in Georgia impugnando la bandiera europea. Una speranza che il campo socialista e democratico deve saper cogliere con determinazione e impegno».

Parlamento e Commissione dovranno lavorare con urgenza al modello di difesa europeo: lo vede a breve un esercito comune europeo?
«Questo è il tempo della Difesa europea: se non lo è ora mi domando quando potrà esserlo. L’invasione russa dell’Ucraina ci mette di fronte alla responsabilità di scelte da cui non possiamo fuggire. Va rafforzato il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica perché, con gli Stati Uniti rivolti strategicamente verso l’Indopacifico e la competizione con la Cina, l’Europa deve crescere nella sua capacità di produrre sicurezza, per i suoi cittadini e per il mondo, ad iniziare dal nostro immediato vicinato. Tutto ciò richiede scelte politiche, risorse, assunzione di responsabilità, persuasione delle opinioni pubbliche. È faticoso, certo, ma è un passaggio ineludibile».

Perché Macron precipita sull’intervento in Ucraina? La sua posizione, Guerini, quale è?
«Quello di Macron è un appello rivolto all’Occidente: chi pensasse che rallentare gli aiuti all’Ucraina porterebbe alla pace, non comprende che invece rischia semplicemente di aumentare la forza e la minaccia putiniana verso la sicurezza europea. Penso che il suo ragionamento, al di là del messaggio di ambiguità strategica che contiene, sia essenzialmente questo».

E appunto, per la pace in Ucraina non devono venire meno i sostegni di ogni tipo all’Ucraina. Tutto il Pd è d’accordo?
«Sì! Le decisioni che abbiamo in Parlamen to fi n dalle prime ore dell’invasione russa, a partire dall’invio di aiuti militari all’Ucraina, hanno sempre visto il nostro voto convinto. La nostra linea è sempre stata chiara e non cambia. Da parte mia aggiungo che è necessario che l’Italia e l’Europa facciano di più: più di molte parole, comprese le mie, è necessario incrementare i fl ussi di aiuti militari alle forze armate ucraine per difendere il loro Paese. Per difendere le città ucraine dai bombardamenti russi. Per costringere prima o poi Putin al negoziato. Con l’Ucraina in piedi. Bisogna fare di più e farlo ora»

Ora però c’è anche la candidatura “dissidente” di Marco Tarquinio: è un valore aggiunto, come ha detto Goffredo Bettini, o un elemento equivoco?
«Rispetto le idee di tutti.Ma mantengo il diritto di non essere d’accordo, anche se credo che il confronto su temi drammatici come la guerra e la pace sia non solo utile ma anche doveroso. Ciò detto sto alle decisioni che abbiamo preso e votato in Parlamento e alla linea di sostegno all’Ucraina che la nostra segretaria ha più volte riconfermato. Sto, infine, al programma per le prossime elezioni europee che abbiamo appena approvato unanimemente in direzione e che dice chiaramente di volere “un’Europa che continui a sostenere la resistenza del popolo ucraino di fronte all’invasione russa e che stia al fianco dell’Ucraina nella sua legittima lotta per liberarsi dagli orrori della guerra seguita alla brutale invasione subita dalla Russia di Putin”. Mi sembrano parole piuttosto chiare, tutt’altro che ambigue».

I riformisti si sentono a casa nel Pd di Elly Schlein?
«Il Pd non è di Elly Schlein o di Lorenzo Guerini. È dei suoi militanti. Dei suoi elettori. Delle storie politiche e culturali che lo hanno fatto nascere e ne innervano la cultura politica. Sul jobs act la penso diversamente da Elly? Non mi pare una grande rivelazione. In un partito si discute, a volte si litiga pure. E si può essere in minoranza come a me è successo spesso in questi ultimi anni. Ma per questo non lo sento meno mio o penso di non poter avere voce e rispetto. Registro che negli ultimi tempi i leader di alcuni partiti dicono a Elly di fare i conti con “gli ex renziani” o a noi “riformisti” chiedono cosa restiamo a fare nel Pd. Si mettano tutti il cuore in pace, da una parte e dall’altra: il Pd, con tutti i suoi limiti, è l’infrastruttura politica necessaria per costruire il centrosinistra e tanto più è plurale tanto più può avere la forza di costruire una credibile alternativa di governo alla destra. E senza di noi non si può fare».

Spendere di più o spendere meglio, per la difesa? L’adeguamento al 2% del Pil è per lei auspicabile?
«Spendere meglio e investire di più. Per gli impegni che abbiamo assunto in sede Nato, certamente. Ma, innanzitutto, perché lo richiede il nostro strumento militare che necessita di essere ammodernato: da un lato, siamo immersi in un salto tecnologico che ha conseguenze anche sul piano militare e dall’altro siamo in un contesto geopolitico che lo richiede. E questo vale per noi ma, più in generale, vale per l’Europa. Perché è un passo ineludibile verso la creazione della Difesa europea che ha bisogno di investimenti, di condivisione della base industriale e tecnologica, di costruzione di capacità militari comuni. Farlo signifi ca andare verso una più bilanciata composizione delle capacità militari tra le due sponde dell’Atlantico, rafforzando il pilastro europeo della Nato e dando concretezza alla spesso auspicata autonomia strategica europea che altrimenti rischia di rimanere solo una vaga espressione retorica».

Quanto incide sull’instabilità globale un Netanyahu fuori controllo? Se Israele prosegue con le operazioni a Rafah possono esserci conseguenze anche in Europa?
«La politica di Netanyahu e le operazioni militari nella striscia di Gaza, oltre a procurare le drammatiche sofferenze alla popolazione civile palestinese che quotidianamente vediamo, rischia di isolare Israele. Faccio mie le parole del Capo dello Stato: “è indispensabile giungere a un’immediata cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza anche per consentire il pieno accesso umanitario alla popolazione civile, da mesi stremata e bisognosa di aiuto”. Non dobbiamo mai dimenticare il 7 ottobre e cosa abbia signifi cato per Israele colpito nel suo diritto inalienabile a esistere in pace e sicurezza. E che in Europa, ma anche negli USA, ci sono stati rigurgiti di antisemitismo che vanno condannati con chiarezza e forza. Gli Stati Uniti e gran parte della comunità internazionale teme che operazioni militari “pesanti” a Gaza possano portare a un aggravarsi della tensione regionale con esiti ancor più preoccupanti. Per questo bisogna stare a fianco di Israele ma essendo molto chiari verso il governo Netanyahu a riflettere con grande attenzione su ciò che intenderà fare nei confronti di Rafah».

Esiste ormai una rete del “Disordine mondiale” che si nutre di conflitti e tensioni. La Russia di Putin che ruolo gioca?
«È uno dei Paesi che ritiene di avere dividendi da un mondo sempre più destabilizzato. Non è l’unico: Iran e Corea del Nord gli fanno buona compagnia. E noi dobbiamo essere consapevoli che uno dei campi di questo malefico gioco è l’Europa sempre più messa sotto stress da campagne di disinformazione mirate a costruire consenso alla narrazione più funzionale agli interessi di Mosca. A cui dobbiamo contrapporre una contro-narrazione basata sulla verità e su oggettivi elementi fattuali. Sull’Ucraina, ad esempio, ma anche sulle tante falsità che dipingono un Occidente decadente e incapace di tutelare i propri cittadini».

L’Italia, dice Crosetto, non è preparata per entrare in guerra. Da ex ministro, lo conferma? É una ammissione di vulnerabilità grave. Cosa va fatto per correre ai ripari?
«Peserei le parole: nessuno vuole guerre. Abbiamo costruito l’Europa perché volevamo la pace. E la vogliamo ancora, fortemente, per oggi e per domani. Ma per difendere la pace abbiamo bisogno di ammodernare le nostre Forze Armate, adeguando il nostro strumento militare ad un nuovo scenario di riferimento. Da uno strumento di proiezione soprattutto nel contrasto al terrorismo jihadista, a un rafforzamento della capacità di difesa dello Stato e della sicurezza degli spazi euroatlantici ed euromediterranei. Rafforzando il contributo nazionale alla nostra fondamentale architettura di sicurezza che è la Nato».

Che idea si è fatto della leva obbligatoria proposta da Salvini?
«Mi pare un’idea che riprende in ogni campagna elettorale. Ma che non ha attinenza con la realtà e sarebbe solo uno spreco di risorse. C’è bisogno di Forze Armate ad elevata professionalità che saranno sempre più chiamate a confrontarsi con sistemi sempre più sofi sticati e tecnologici. E accanto ad esse c’è bisogno di una riserva operativa volontaria a cui attingere in caso di necessità, introdotta dalla legge 119 del 2022. Credo sia più utile lavorare per implementare questa previsione piuttosto che perdere tempo in discussioni su proposte inattuabili».

Mentre parliamo arriva la notizia, da Bratislava, dell’attentato al premier slovacco Fico. Le chiedo un commento a caldo.
«Sono scioccato e sconvolto. Un attentato inquietante, ancora da capire. Un vile attacco fermamente da condannare. Il mio pensiero va innanzitutto a lui e alla sua famiglia. E la mia vicinanza, come quella di tutte le nostre istituzioni, al popolo slovacco»

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.