Lo scontro
Guerra in Confindustria: le imprese scaricano Bonomi e trattano coi sindacati

Contrordine “compagni”: niente più pugno duro con i sindacati, come volevano i vertici di Confindustria. La situazione in Italia, con la crisi economica e sociale dovuta al Covid-19, infatti è quella che è e il braccio di ferro sul rinnovo dei contratti non può durare in eterno. Dopo la rottura di Federalimentari, sette grandi associazioni imprenditoriali del settore del cibo si sono ribellate così al presidente Carlo Bonomi nella lettera scritta martedì sera a Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil: adesso chiedono un incontro per un “accordo negoziale nell’interesse di lavoratori e imprese”. Una mano tesa alle richieste di aumenti salariali per fermare scioperi e agitazioni, insomma proprio quello che la Confederazione degli industriali aveva chiesto di non fare, mostrando la prima grande spaccatura tra gli imprenditori dall’inizio della rigida e oltranzista gestione Bonomi (iniziata lo scorso maggio).
A fine luglio tre associazioni del settore avevano già firmato il rinnovo del contratto: tra queste la Unionfood, che rappresenta diversi big del settore (da Barilla a Ferrero, alle multinazionali come Unilever). La presidenza di Confindustria era intervenuta chiedendo di non applicare l’accordo a livello nazionale, ma singole aziende hanno firmato lo stesso con i sindacati. Poi qualche giorno fa l’intervento a gamba tesa di Federalimentari: il via libera alla rottura definitiva di tutto il settore (che riguarda 7mila aziende e 385mila lavoratori, l’8% del Pil italiano). La cosa, ora, potrebbe avere conseguenze anche su altri ambiti in attesa di rinnovi. In prima fila il metalmeccanico, che proprio negli ultimi giorni ha visto l’interruzione delle trattative tra rappresentanti delle aziende e parti sociali.
Per Bonomi eventuali aumenti di stipendio sono sbagliati e semmai dovrebbe essere il welfare pubblico a intervenire a maggior supporto dei lavoratori. Tra le imprese, invece, cresce il malcontento: in questo momento eventuali tensioni sociali potrebbero essere deleterie. Proprio ieri il Fondo monetario internazionale ha previsto un -10,6% di Pil a fine 2020. Il Covid torna a far paura e stavolta la crisi economica potrebbe essere peggiore di quella sanitaria: il liberismo ortodosso può aspettare.
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