La grande battaglia del Donbass sta per cominciare e non si sa, a prescindere da chi vincerà sul campo, quali potranno essere gli esiti finali. I russi cercano una vittoria militare per riguadagnare la faccia perduta e stanno ammassando centinaia di carri con truppe fresche agli ordini di un nuovo comandante unico, mentre finora l’armata di Mosca ha avuto tre diversi comandanti che non si parlavano tra loro. Ma il nuovo è già noto più come macellaio che come stratega: ha distrutto la città di Grozny in Cecenia con i suoi abitanti allo scopo di spezzare il morale dei ceceni, mostrando al mondo la nuova dimensione alla guerra: terroristica e intimidatoria. Di questa sperimentata strategia fa parte l’uso delle rappresaglie sulla popolazione civile, anziani torturati, lo stupro e l’uccisione di donne e infine la caccia ai bambini secondo l’antico “modello Erode” per ottenere la disintegrazione di una comunità nazionale.

Queste pratiche sono state applicate alla città siriana di Aleppo ridotta un grumo di macerie sanguinanti, poi a Mariupol e a una dozzina di piccoli centri delle aree attaccate per formare una linea di contiguità dei possedimenti russofoni. Adesso, gli ucraini hanno l’opportunità, di consentire ai russi un accettabile assestamento che metta in condizione Putin di dirsi soddisfatto per aver raggiunto almeno uno tra i suoi obiettivi. Ma l’esercito ucraino non ha intenzione di farsi macellare sul campo e quindi nessuno è in grado di dire quale sia la giusta dimensione di una possibile vittoria e della sconfitta che permetta alla delegazione russa il sedersi al tavolo per trattare di pace. Zelensky si dice ogni giorno pronto a trattare e ogni giorno i russi rispondono che l’atteggiamento ucraino non è ancora abbastanza serio. E in questo consiste la scommessa: se l’esercito russo dalla seconda ondata in poi riuscirà a portare a casa soltanto ciò che già aveva considerato suo e cioè le due province del Donbass, compirà il generoso gesto di sedersi e trattare? Tutti sanno qual è il vero rischio di questa tornata: qualora i russi fossero ancora una volta, malgrado la nuove truppe e il nuovo comandante, respinti dalla capacità e dalla tenacia bene armata degli ucraini, qual è il margine di rischio di un balzo in avanti nelle reazioni militari russe?

In altre parole, visto che russi hanno già usato i missili ipersonici di cui, per ora, hanno l’esclusiva mondiale rompendo gli antichi equilibri del terrore, si tratta di scommettere su ciò che al Cremlino sembrerà la risposta più idonea da dare non soltanto all’Ucraina ma al mondo occidentale. Quale? Non necessariamente l’uso di armi nucleari tattiche, ma forse armi chimiche o biologiche che trasportabili con i missili ipersonici. Qualora ciò accadesse, l’Occidente, sia europeo che americano, si troverebbero di fronte alla decisione più drammatica: far finta di nulla e favorire un cessate il fuoco e un accomodamento, oppure considerare lo strappo come non riparabile. Sia in Occidente che in Russia sembra che entrambe le correnti di pensiero, quella dei cosiddetti falchi e delle cosiddette colombe, stia facendo proseliti. Ma in Russia in definitiva la decisione finale spetta soltanto a Putin, benché sia ormai provato che il cerchio magico dei suoi sostenitore si senta profondamente deluso non potendo più fare ottimi affari e ottimi profitti con l’Occidente. Di qui la battuta che circola frequentemente in questi giorni secondo cui il silenzioso alleato cinese intenderebbe offrire una magnifica vacanza a Macao a Vladimir Putin.

Le indagini sul terreno delle stragi dimostrano che esse sono state concesse come diritto di saccheggio e li stupro alle truppe asiatiche e cecene affinché si diffondesse il terrore in chiunque abbia intenzione di resistere – e si sa che il nuovo comandante generale è un teorico di questa pratica. La grande battaglia non è ancora iniziata ma già si sentono i missili che aggiustano le loro traiettorie e i due schieramenti aspettano il momento del duello finale. Ma il duello finale non sarà affatto finale perché dal suo esito dipenderà il fattore umano, quello dell’umore con cui Vladimir Putin deciderà di reagire di fronte a una lampante vittoria, un mezzo pareggio, una sostanziale sconfitta, una vergognosa e completa ritirata. Alcune di queste opzioni sono per lui indigeribili e potrebbero portarlo all’uso delle armi finora mai usate dopo Hiroshima e Nagasaki. Ci sarà dunque da valutare l’esito militare della battaglia, l’esito umorale del leader russo, e quali opzioni riterranno di prendere i paesi bellicosi come il Regno Unito di Boris Johnson, e gli Stati Uniti fortemente traumatizzati dalla propria inferiorità strategica, cui cercano di porre rimedio con una corsa forsennata per la produzione di nuove e micidiali armi che rimettano in pareggio le speranze di pace.

 

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.