“Siamo entrati nella terza fase della guerra” ha annunciato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Una fase che prevede non più solo i bombardamenti o rapidi blitz, ma la penetrazione via terra nella Striscia di Gaza per giungere a quello che l’obiettivo dell’esercito israeliano: l’invasione per sradicare Hamas. Si tratta di una campagna a tappe, iniziata con prime incursioni notturne per poi procedere verso un progressivo aumento del numero di soldati tank delle Israel defense forces all’interno dell’exclave palestinese. A spiegarlo è stato lo stesso premier che, prima della riunione del governo, ha detto che l’esercito avanza “in modo metodico” e he che le forze armate hanno “ampliato l’ingresso terrestre nella Striscia di Gaza facendolo con fasi misurate e molto potenti”.
La discussione se si tratti o meno della vera invasione appare quindi un dibattito puramente formale: quella in corso è a tutti gli effetti una nuova fase del conflitto. Il cambio di passo si è avuto la scorsa settimana dopo venti giorni di soli e martellanti bombardamenti aerei e navali. Ed è questo il passaggio necessario per l’assedio finale di Gaza. È qui, nella roccaforte di Hamas, che si prospetta la battaglia decisiva: la più difficile e cruenta. E le Idf avanzano verso lo scenario di una guerra casa per casa con una manovra a tenaglia che appare inesorabile.
I testimoni hanno riferito già nella mattinata di ieri che vi era stata una prima breve incursione nella periferia della città: un blitz per tagliare la strada Salahedin, principale arteria dell’exclave. E come è stato per le operazioni che hanno preceduto l’ingresso in massa nella regione, questi primi avvicinamenti dei carri armati a Gaza city sembrano il preludio all’avanzata sulla città. Gli scontri sono violenti e le Idf confermano di avere colpito, tra attacchi terrestri e aerei, circa 600 obiettivi in 24 ore, tra cui un palazzo con all’interno 20 miliziani di Hamas. La comunità internazionale preme per evitare che la battaglia esasperi la situazione già drammatica della popolazione civile, confidando nella possibilità che una tregua umanitaria dia la possibilità di portare aiuti e di fare evacuare più gente possibile. Per la Croce Rossa, a Gaza “la sofferenza umana è scioccante”. Netanyahu ha assicurato che il governo lavora per fare evacuare la popolazione con corridoi sicuri verso sud e che “nessun civile deve morire”.
Israele, Netanyahu è certo che Hamas “sarà sconfitta”
Ma sullo stop momentaneo alle operazioni, il premier è stato netto: “Nella Bibbia si dice che c’è un tempo per la pace e uno per la guerra, ora è quello per la guerra per un futuro migliore”. Per l’esercito israeliano continua inoltre la decapitazione dell’organizzazione nemica. Sono due i comandanti uccisi nelle ultime ore, Yamil Baba, delle forze navali di Hamas, Muhamad Safadi, delle unità anticarro. A questi si aggiungono due importanti combattenti: Muwaman Hijazi e Muhamad Awdalah. Tra avanzata via terra, bombardamenti e omicidi eccellenti, Netanyahu è certo che Hamas “sarà sconfitta” e che Gaza “sarà diversa”. E il premier lo ha ribadito anche confermando la fiducia nei vertici delle Idf dopo giorni in cui era trapelata una certa differenza di vedute. Ma mentre si avvicina la resa dei conti, diventa sempre più urgente il tema degli ostaggi. La loro vita è appesa a un filo e nelle ultime ore si è confermata la previsione di chi riteneva certo l’utilizzo dei sequestrati come strumento di propaganda e di negoziazione da parte di Hamas. In un video inviato dal braccio militare di Hamas, le brigate Ezzedine Al-Qassam, l’organizzazione islamista ha mostrato tre donne – identificate in Yelena Tropanov, Danielle Aloni e Rimon Kirscht – intente ad accusare Netanyahu di non avere evitato il terribile attacco del 7 ottobre e di non fare nulla per liberare i cittadini rapiti.
Le dichiarazioni, certamente estorte dai miliziani, hanno scosso, come preventivabile, tutto lo Stato ebraico. Per l’esecutivo, quella di Hamas è solo “crudele propaganda psicologica”, ma è chiaro che più passa il tempo e più può aumentare l’uso di questa terribile arma emotiva da parte dei terroristi, così come salirà inevitabilmente la pressione sul governo. Dopo il tragico annuncio della morte di Shani Louk, ventiduenne tedesco-israeliana rapita al rave e barbaramente uccisa, una notizia positiva è arrivata con la prima liberazione di un ostaggio ad opera dei militari impegnati nella Striscia. Si tratta di Ori Megidish, membro delle forze armate e liberata dagli uomini delle Idf e dello Shin Bet in un raid notturno. L’episodio può aiutare a dare fiducia a un’opinione pubblica ancora traumatizzata. Ma i vertici dello Stato ebraico non nascondono che a Gaza, nelle mani dei rapitori, ci sono ancora più di 200 ostaggi. Su questo fronte lavora anche la diplomazia, impegnata in difficili triangolazioni per arrivare alla liberazione dei sequestrati.
Il centro nevralgico di questi negoziati è il Qatar, dove secondo alcuni media è sbarcata nei giorni scorsi anche una delegazione israeliana guidata dallo stesso direttore del Mossad, David Barnea. A questo proposito, interessante l’editoriale del quotidiano Haaretz, che ha attaccato Doha accusandola di avere “il sangue israeliano sulle mani” e di non poter fare da mediatore. Un’accusa grave, che mostra come i rapporti tra Israele e Qatar siano tesi nonostante il blitz dei funzionari dello Stato ebraico. A gettare acqua sul fuoco ha provato il governo degli Stati Uniti. Ieri, il segretario di Stato Antony Blinken ha avuto un colloquio con il premier e ministro degli Esteri qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, nel quale ha ringraziato l’emirato per l’impegno. E mentre Netanyahu ha smentito la possibilità di una tregua per negoziare sulla liberazione dei rapiti, l’intera regione è in stato d’allerta. Dal Libano allo Yemen fino alla Siria e all’Iraq, il cosiddetto “asse della resistenza” ha aumentato le proprie attività. E venerdì è atteso il primo discorso di Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah.