Bagno di sangue
Guerra Israele-Hamas: Gaza assediata, pioggia di fuoco e preludio all’invasione via terra
La carenza di acqua potabile, carburante, acqua e quindi anche di elettricità costituisce una miscela esplosiva che incide sulla vita già molto dura di chi abita tra Gaza e il resto dei villaggi
La Striscia di Gaza è cinta d’assedio. La roccaforte di Hamas, l’organizzazione che sabato scorso ha assaltato Israele provocando la morte di 1300 persone e il rapimento di un altissimo numero di ostaggi (forse 150), è al buio e chiusa da ogni lato. I raid continuano senza sosta. I media israeliani affermano che dalle ore successive all’attacco terrorista sono stati colpiti oltre 3.600 obiettivi nella Striscia, con 6.000 munizioni lanciate dall’artiglieria, dalla flotta e dall’aviazione dello Stato ebraico. Una pioggia di fuoco che secondo gli analisti e in base alle dichiarazioni del governo e delle Israel defense forces dovrebbe essere il preludio all’offensiva via terra. Un’operazione che per le Idf ha lo scopo di sradicare Hamas dall’enclave palestinese e che, come spiegato dal capo di stato maggiore Herzi Halevi, farà sì “che Gaza non sarà più quella di prima”.
L’operazione, sottolineano però gli osservatori, rischia di trasformarsi in un bagno di sangue: per la popolazione rinchiusa nella Striscia ma anche per le truppe israeliane. E c’è il rischio che l’escalation infiammi altre aree come confermato dall’attentato a Gerusalemme Est. Sotto il profilo umanitario, l’Onu lancia continui allarmi. Per il Programma alimentare mondiale la situazione che si vive nella Striscia dall’assedio è “devastante” e la carenza di acqua potabile, carburante, acqua e quindi anche di elettricità costituisce una miscela esplosiva che incide sulla vita già molto dura di chi abita tra Gaza e il resto dei villaggi. La diplomazia lavora per aprire corridoi umanitari che evitino ai civili palestinesi di rimanere anch’essi ostaggio della follia di Hamas e della risposta militare di Israele. Ma le trattative sono difficile e, mentre aumenta il numero dei morti, diminuisce il tempo a disposizione. Per i militari israeliani, ora guidati dal nuovo gabinetto di guerra istituito con l’accordo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz per reagire all’emergenza, sembra ormai in arrivo il momento dell’invasione. E tutti sanno che la battaglia per la Striscia di Gaza non sarà semplice nonostante l’enorme potenza di fuoco messa in campo dallo Stato ebraico. Hamas è forte e, come hanno osservato le stesse forze armate israeliane, si prepara a una lunga guerra. Probabilmente di settimane, se non addirittura di mesi.
Il maggiore generale Rafi Milo ha fatto capire alla stampa che la riduzione del numero dei razzi lanciati ogni giorno dalla Striscia può significare che le sigle jihadiste stiano provvedendo a non svuotare troppo le scorte di ordigni. E non è da escludere che in questo momento i bombardamenti israeliani abbiano decapitato anche diversi comandi di Hamas e del Jihad islamico palestinese mettendo in difficoltà i quadri delle due organizzazioni e rendendo più difficile il pieno controllo della situazione. Questo è possibile. È però altrettanto vero che Israele ha già commesso una volta l’errore di sottovalutare Hamas, e non è pensabile che possa compiere il medesimo passo falso. L’attacco della scorsa settimana è stato senza precedenti e con il passare dei giorni continuano ad aggiungersi tasselli che aiutano a ricostruire il mosaico che ha portato alla furia di Hamas e all’impreparazione delle Idf. Ali Baraka, uno dei più alti dirigenti dell’organizzazione, ha dichiarato in un’intervista dell’8 ottobre andata in onda sulla tv di Russia Today che l’attacco da sud contro Israele è stato pianificato per circa due anni. Non solo: secondo Baraka è questo il motivo per cui Hamas non si è unita in precedenti escalation del Jihad islamico palestinese contro il vicino israeliano. Un modo quindi per non diluire le forze e non svelare ai nemici tattiche particolari.
Un assalto preparato in ogni dettaglio e in gran segreto, tanto che le altre fazioni palestinesi, così come i referenti di altre forze esterne, sarebbero stati avvertiti solo a cose fatte. Come in altre circostanze, la prova che il dirigente dica il vero non c’è. È però verosimile che l’assalto sia stato realizzato con una preparazione meticolosa, tanto da avere ingannato non solo le Idf ma anche l’intelligence di Israele. Mentre le forze armate attendono gli ordini del gabinetto di sicurezza, gli Stati Uniti continuano a lavorare attraverso due binari paralleli: la diplomazia e la pressione militare. Sotto il primo aspetto, da sottolineare la missione del segretario di Stato Usa Anthony Blinken in Medio Oriente. L’inviato dell’amministrazione Biden è atterrato a Tel Aviv e ha incontrato Netanyahu nel quartier generale delle forze armate. Blinken ha ribadito la totale sintonia tra Usa e Israele, ha confermato la morte di 25 cittadini americani nell’attacco sferrato da Hamas e ha dichiarato che sono in corso “sforzi diplomatici” per risolvere il nodo degli ostaggi. Il segretario di Stato Usa è impegnato in una missione estremamente complicata, in cui l’obiettivo è quello di incontrare tutti i più importanti leader regionali, in particolare quelli delle monarchie del Golfo, per cercare di trovare una soluzione all’escalation. Proprio con una di queste, il Qatar, è in corso un dialogo molto fitto, dal momento che a Doha trovano rifugio parecchi leader di Hamas e la monarchia sta trattando per la liberazione degli ostaggi. Secondo il Washington Post, un primo risultato delle trattative tra Usa e Qatar sarebbe il blocco dei sei miliardi di dollari all’Iran che erano stati scongelati dopo l’accordo per liberare i cinque statunitensi imprigionati nella Repubblica islamica.
Insieme alla diplomazia, però, Washington vuole certificare il suo sostegno alla causa israeliana anche attraverso un rafforzamento della propria presenza militare. Mossa che serve a mostrare agli alleati la piena capacità operativa Usa in tutto il contesto mediorientale. La portaerei Gerald Ford è nelle acque del Mediterraneo orientale, mentre le ultime notizie sembrano confermare l’invio nell’area di una seconda portaerei, la Dwight D. Eisenhower. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il Regno Unito che, secondo il Times, ha deciso di mandare nel Levante due navi d’appoggio insieme ad aerei da ricognizione.
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