Guerra Israele-Hamas, l’assalto di Rafah come punto di svolta. Ma è gelo tra Biden e Netanyahu

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L’assalto di Rafah può essere un punto di svolta nella guerra di Israele contro Hamas. Benjamin Netanyahu è certo che colpendo l’ultima città a sud della Striscia il conflitto potrebbe prendere una piega diversa, in grado di velocizzare i piani per la vittoria e la demilitarizzazione di Gaza. E l’operazione nel campo profughi di al-Shabura, a Rafah, con cui le forze speciali hanno liberato due ostaggi con doppia nazionalità argentina e israeliana, è stata un segnale importante. “Questa è stata una delle operazioni di salvataggio di maggior successo nella storia dello Stato di Israele. Avete eliminato i rapitori, i terroristi e siete tornati in Israele indenni: un’operazione perfettamente eseguita” ha detto Netanyahu incontrando i membri dell’unità antiterrorismo Yamam (che hanno condotto l’operazione insieme a Shin Beth e forze armate). E in effetti, l’incursione dei commando israeliani in un territorio così densamente popolato e sotto il controllo di Hamas rappresenta una vittoria importante sia sotto il profilo operativo che politico.

La pesante battaglia tra agenti israeliani e combattenti palestinesi

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’operazione, che è stata preceduta da una serie di attacchi aerei, si è trasformata nel giro di pochi minuti in una pesante battaglia tra agenti israeliani e combattenti palestinesi. Dopo l’assalto, i due ostaggi (Fernando Simon Marman, 61 anni, e Norberto Louis Har, 70 anni) sono stati poi condotti in elicottero allo Sheba Medical Center, dove sono stati sottoposti ai consueti accertamenti per verificare le condizioni di salute dopo mesi di prigionia. La metodologia usata da Israele, in un mix di informazioni di intelligence molto dettagliate, raid aerei e utilizzo dei commando, è servita non solo per raggiungere un obiettivo importante, e cioè liberare i due ostaggi, ma anche per avvertire Hamas. Gli esperti sottolineano che l’organizzazione palestinese, nel comunicato successivo ai raid, ha volutamente taciuto della liberazione degli ostaggi israeliani, soffermandosi sugli effetti dei bombardamenti aerei che hanno colpito la zona di Rafah e sulla morte di altri tre rapiti. Tuttavia, per la milizia palestinese si tratta di un episodio difficile da digerire.

Il significato politico

L’assalto è avvenuto in un edificio che era sottoposto a una rigida sorveglianza da parte dei miliziani, e questo potrebbe anche modificare sensibilmente il modo in cui sono tenuti sotto sequestro gli ostaggi. Inoltre, le informazioni di intelligence sono risultate estremamente precise. E questo confermerebbe quanto detto nelle ore precedenti dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, secondo cui le operazioni “nel cuore di Hamas” servivano anche per raccogliere più dati possibili sull’organizzazione. “La loro intelligence ora viene usata contro di loro. L’approfondimento dell’operazione ci avvicina a un accordo realistico per il ritorno degli ostaggi” aveva detto il ministro. La mossa, come dicevamo, ha però anche un chiaro significato politico. Netanyahu è da tempo sottoposto a una forte pressione interna dovuta all’incessante protesta delle famiglie degli ostaggi. E mentre le truppe israeliane circondano Rafah e sono pronte a un assalto che non piace né a Joe Biden, né all’Unione europea né alle Nazioni Unite (che hanno parlato di “prospettiva terrificante”), l’esecutivo è impegnato nel negoziato con Hamas per il rilascio dei rapiti e lo stop alle ostilità.

Rapporti ai minimi termini con Washington.Oggi nuovi colloqui

Il premier tira dritto sull’assedio, e ieri sui media Usa sono trapelate nuove indiscrezioni sulla frattura sempre più netta tra lui e il presidente Usa. I rapporti sono ormai ai minimi termini. E Washington è preoccupata dal rischio che la possibile catastrofe umanitaria a Rafah si trasformi in un focolaio di tensioni che coinvolge anche l’Egitto. Oggi sono attesi nuovi colloqui al Cairo cui dovrebbe partecipare anche il direttore della Cia, William Burns. Biden ha già chiarito di essere contrario all’operazione a Rafah e di volere il prima possibile un accordo su ostaggi e tregua. E adesso attende da Netanyahu un segnale di distensione.