Il sangue scorre nella Striscia di Gaza. E più passano i giorni, più la battaglia si fa cruenta. Le truppe israeliane sono ormai entrate stabilmente nell’exclave palestinese e provano a cingere d’assedio il suo centro nevralgico: Gaza city. Le forze armate hanno confermato che nell’area sono in corso “violenti combattimenti” con Hamas, e si registrano anche i primi caduti tra le Tsahal. Ieri le Israel defense forces hanno dato l’annuncio della morte di due militari, Roei Wolf e Lavi Lipshitz, entrambi ventenni ed entrambi arruolati nella Brigata Givati. E il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha ammesso in modo molto esplicito che “in guerra ci sono prezzi da pagare”.

Insieme ai movimenti di uomini e carri armati, con il numero di questi ultimi in forte aumento, continuano poi i bombardamenti aerei. L’aeronautica israeliana colpisce Gaza da 25 giorni, da quel 7 ottobre che ha cambiato forse per sempre la vita dello Stato ebraico e della Striscia. L’obiettivo delle forze aeree è quello di martellare Hamas e il Jihad islamico palestinese spianando la strada all’avanzata terrestre. Restano alti però i rischi per la popolazione, intrappolata tra l’assedio, la difficoltà di fuggire e la decisione di Hamas di realizzare avamposti all’interno o in prossimità di edifici civili, trasformando gli abitanti in scudi umani. Un esempio di questo rischio è quanto avvenuto ieri nel campo profughi di Jabalya.

Gaza, è guerra anche dei numeri: da 50 a 400 morti dopo attacco al campo profughi

La guerra dei numeri, come già per l’esplosione che ha investito l’ospedale di Gaza, non lascia al momento spazio a dati certi per l’attacco sul campo, dal momento che le autorità locali hanno fornito cifre molto discordanti che passano dai 50 ai 400 morti. L’esercito israeliano ha confermato il raid, descrivendolo come parte di “un attacco su vasta scala” contro Hamas e in cui è stato ucciso anche il comandante locale, Ibrahim Bihari, insieme a “un ampio numero di terroristi”. Fatah, il partito del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas, ha indetto per oggi una “giornata della rabbia” in Cisgiordania come reazione al raid di Jabalya. Ed è proprio qui, su quest’altro fronte nascosto, che il conflitto rischia di allargarsi. Le Idf, dallo scoppio della crisi, hanno proceduto a retate e sequestri: solo nella giornata di ieri sono state arrestate 38 persone di cui otto ritenute affiliate ad Hamas.

Non manca inoltre la paura per la crescente tensione tra palestinesi e coloni, con una violenza che preoccupa tutta la comunità internazionale che preme affinché la regione non sprofondi nel caos. Nei giorni scorsi, a chiedere un intervento al governo israeliano è stato lo stesso consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, che ha definito “totalmente inaccettabile la violenza di coloni estremisti contro persone innocenti in Cisgiordania”. A invocare lo stop delle violenze è stato anche l’alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, che ha espresso anche ieri le sue preoccupazioni sulla Cisgiordania. Intanto, mentre le forze israeliane proseguono nella terza fase della guerra, sale l’allerta sul potenziale allargamento del conflitto e sul coinvolgimento di altre forze, specialmente quelle della galassia sciita legate all’Iran.

Il terzo lancio di droni contro Israele

In questi giorni, è in aumento soprattutto l’attività dei ribelli Houthi dello Yemen, proxy iraniano nella Penisola araba e parte di quell’oscuro conflitto che si è combattuto nel Paese negli ultimi anni. Le Tsahal hanno intercettato ancora una volta un velivolo diretto verso la città israeliana di Eilat, sul Mar Rosso, dopo quelli che erano esplosi in Egitto o abbattuti dalla nave statunitense Uss Carney. E ieri, a riprova del crescente ruolo di questa milizia, è arrivata anche la rivendicazione del terzo lancio di droni contro Israele da parte del portavoce militare degli Houthi, Yahya Saree. Il timore per l’escalation regionale riguarda anche il Libano, dove non si fermano i lanci di razzi di Hezbollah contro il nord dello Stato ebraico a cui le forze israeliane rispondono con raid mirati contro le cellule del partito di Dio.

L’incontro a Doha tra Amirabdollahian e Haniyeh

A testimoniare la volontà di Teheran di sfruttare la guerra, da registrare poi l’incontro avvenuto a Doha, in Qatar, tra il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian e il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Incontro avvenuto dopo quello con l’emiro del Qatar. Il Paese è il crocevia per i negoziati sugli ostaggi. E su questo fronte, a fare una nuova apertura è stato il portavoce dell’ala militare di Hamas, che ha affermato che nei prossimi giorni saranno liberati alcuni ostaggi stranieri. Non è da escludere che vi possano essere russi, specialmente dopo l’incontro a Mosca tra una delegazione di Hamas e alcuni funzionari del Cremlino. Intanto, la diplomazia riflette anche sul dopoguerra. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha ribadito l’impossibilità di tornare allo status precedente il 7 ottobre, ma ha aperto le porte a una Anp “rivitalizzata ed effettiva” responsabile anche per Gaza.