Le due virtù cardinali in guerra, ha scritto Hobbes ne ‘Il Leviatano’, sono la forza e la frode. La forza della brutalità, di una violenza cieca che esonda da qualunque limite umanamente accettabile e che devasta, rade al suolo, desertifica, incendia, in un carnaio rosso di sangue e screziato dal nero della tenebra.E la frode del caotico rumore di fondo che annulla qualunque pietà, qualunque compassione e rende il circuito della informazione una estensione geometrica della guerra. La tragedia, una tragedia immane, di macerie, carne, vite spezzate, dell’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital si è rivelata anche, se non soprattutto, un grottesco corto circuito di informazione e politica.

Emersi i dettagli, affiorati alla nuda luce del giorno i particolari e soprattutto le responsabilità, ben pochi di quelli che, subitaneamente, avevano evocato la responsabilità israeliana hanno pensato di chiedere scusa. Scusa, in primo luogo, per il moto mentale pavloviano sedimentato e nutrito nel pregiudizio e che li ha portati ad accusare, senza prove, senza riscontri, solo perché così diceva Hamas, la credibilissima Hamas, lo Stato israeliano e le sue forze armate. Ed in genere, sono gli stessi esponenti di una certa sinistra, di ONG, persino di istituzioni sovranazionali che hanno trovato scarsa voce per condannare la mattanza oscena e ripugnante commessa da Hamas. Una organizzazione di terroristi che ancora oggi, mentre le autorità di Israele enunciano le atrocità perpetrate, gli arti mozzati, le indicibili torture, le violenze commesse nei kibbutz e nel deserto dove si teneva il festival musicale, sentiamo rubricare come ‘partito politico’, ‘interlocutore’, quasi si trattasse di una forza politica responsabile.

Nessuno, tra gli organi di informazione e tra tutti quelli che avevano già sentenziato la loro verità, ha rilevato come e quanto il torrenziale e caotico flusso di video, riprese, audio, post, discussioni online abbia sommerso e fatto scomparire dall’orizzonte la fisionomia delle vittime, israeliane e palestinesi. Nessuno tra loro ha pensato che serbare silenzio su un fatto falsificato nella attribuzione delle responsabilità, una autentica frode, avrebbe prima innescato e poi peggiorato la scintilla violenta della insurrezione diretta contro Israele, Europa ed USA, ma anche contro l’Autorità palestinese da parte di Hamas, ridefinendo gli incerti limiti geopolitici di un quadrante incandescente.

E se il cittadino comune può quasi essere giustificato nel suo essere caduto nella trappola delle facili espressioni di attribuzione di responsabilità, sull’onda montante emotiva di lanci di agenzia o di dichiarazioni di politici, meno scusabili appaiono uomini delle istituzioni e giornalisti che, in assenza di qualunque oggettivo riscontro, avevano attribuito patenti di colpa. Il tifo da stadio, e la sospensione di qualunque raziocinio, ha colpito infatti anche una vasta parte di istituzioni sovranazionali, ONG, mondo intellettuale e professionisti dell’informazione che sono immediatamente corsi a lanciare accuse e spesso a rilanciare video vecchi, palesemente falsificati e proclami, più che analisi. Salvo poi, smentiti dai dati, dai fatti, dalla cruda realtà, rinserrarsi nelle spalle e tacere.

Con la loro condotta hanno dimostrato come e quanto la retorica sulla disinformazione, sulle fake news, sul senso di responsabilità, sui diritti umani, sia soltanto trionfo di discorsi strumentali creati ad arte per esibirsi sul palcoscenico indegno della ipocrisia eretta a sistema di vita.