Il drone è uno strumento che sta innovando il modo di fare la guerra. Nei prossimi anni sarà portatore di cambiamenti tattici e tecnologici significativi a livello militare e securitario. I cosiddetti “aeromobili a pilotaggio remoto” consentono infatti di effettuare operazioni aeree senza rischiare la vita del pilota; come succede con gli aerei convenzionali. Senza perdersi in troppi tecnicismi, possiamo affermare che sono tre gli elementi fondamentali: flessibilità d’impiego, precisione e autonomia. Nel primo caso si fa riferimento al tipo di missioni ove è possibile impiegare questi mezzi, a partire da attività di ricognizione e intelligence fino agli attacchi al suolo. Naturalmente la gamma operativa è ben più variegata e risponde alle esigenze tattiche del contesto di applicazione. La precisione e l’autonomia sono invece legate alle prestazioni dei droni, in quanto vi possono essere variazioni dovute alle diverse linee di produzione nazionali e agli orientamenti in fase di progettazione.

Facendo qualche esempio concreto possiamo parlare degli Houthi in Yemen. Esistono alcune tipologie di droni, di derivazione iraniana, prodotti internamente dai ribelli, col supporto dei materiali cinesi e iraniani che giungono attraverso traffici irregolari dal mare, e capaci di effettuare incursioni letali sul territorio saudita. Caratteristica significativa di questi apparecchi è la possibilità di causare un’esplosione da venti metri di altezza con una testa esplosiva, disseminando schegge su una superficie molto ampia. I potenziali danni derivanti da questo tipo di attacchi non sono trascurabili; tuttavia è da osservare come la contraerea saudita sia ormai capace di intercettare la maggior parte degli attacchi.

Questo ci porta a ragionare anche sulle modalità di reazione agli attacchi condotti usando i droni. Lo spettro delle soluzioni concretamente applicabili sul campo è ormai molto variegato, e comprende sia contromisure elettroniche e cibernetiche sia attacchi cinetici. Tutto dipende dall’obiettivo del difensore. Se l’intenzione è semplicemente quella di abbattere il drone del nemico, allora sarà sufficiente distruggerlo con un classico bersagliamento di armi contraeree oppure con i più innovativi laser ad alto potenziale. Di converso, la necessità di neutralizzare il drone senza farlo precipitare, evitando peraltro rischi di sicurezza a terra, financo prenderne il controllo provoca l’intervento di misure elettroniche e cibernetiche. In sostanza esse sono capaci di indirizzare impulsi in grado di mascherare il segnale di controllo del drone e dirottarlo, oppure attivarne la modalità di rientro automatico.

L’argomento presenta quindi una grande ricchezza di nozioni e di tecnicalità; ma il punto centrale è ricordarsi dell’impatto operativo che esso promuove. Il drone ha introdotto in modo concreto, a seconda dei casi, la sostituzione o la coesistenza tra uomo e macchina sul campo di battaglia. Prima che questo strumento bellico facesse la sua comparsa erano poche le sperimentazioni effettivamente suscettibili di realizzare questo aspetto a livello reale. Non è ancora credibile una completa transizione dai normali aerei ai droni, ma è un dato di fatto che le maggiori aeronautiche militari stanno potenziando le loro capacità d’impiego di questi mezzi. Un fattore importante sarà anche quello economico, poiché un drone kamikaze capace di distruggere un carro armato costa molto meno di un missile anticarro tenuto in regime di efficienza. Se a questo aggiungiamo la flessibilità derivante dalla natura aerea degli attacchi effettuati coi droni otteniamo un portato che combina innovazione e adattamento operativo di un mezzo facile da produrre e da utilizzare. Tutti possono dotarsi di una squadriglia di droni, che si parli di un gruppo terroristico o di una serie di Stati. Per questo il loro uso sarà del tutto trasversale nelle guerre future, facendo derivare ricadute militari e umanitarie da non tralasciare.

Leonardo Lucchesi

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