Qual è lo stato dell’arte, oggi, sia della guerra che della pace? Mai siamo stati così in bilico e in pericolo, mentre il futuro ottimista e autentico dell’Homo Faber prometterebbe di fare un salto nel vero progresso. E lo promette, ma tanto quanto promette catastrofe e per gli affezionati al pessimismo promette anche una credibile fine del mondo. Russia, Iran e Cina, non proprio come una squadra ma quasi, e tengono caldi e insanguinati i fronti dell’Europa Orientale che faceva parte dell’Unione Sovietica ma anche dell’impero zarista, del Medio Oriente in cui l’Iran muove eserciti fuori dalle sue frontiere in Libano, Siria, Gaza, e West Bank, Iraq e Sud Yemen.

E poi l’antica frizione su Taiwan che non ne vuole saperne di essere cinese, e quella del controllo del Mar cinese del Sud che malgrado il nome è acqua internazionale. Se vogliamo salvare la pelle ed essere moderatamente felici dobbiamo sbrigarci ed agire con la consapevolezza che le idee chiare e distinte costano miliardi. Abbiamo vissuto con accidiosa impotenza a due anni di illegale massacro ucraino come la Grande Guerra, con i ventenni mandati contro macchine volanti e cingoli cibernetici. E mai il mondo era stato così vicino all’era di pace tecnologica e voglia di sfamare il mondo realizzando i sogni di Isaac Asimov (“Io robot”).

Non possiamo perché urla la guerra. Abbiamo assistito al primo bombardamento di Israele con oltre 300 missili e droni, tutti presi al volo come al tiro al piattello, guai se uno solo avesse prodotto la catastrofe. E noi? Abbiamo una cupola protettiva? No, e farla costa miliardi, altro che Pnnr. Ma se si parla di spendere per la difesa, cioè in armi, avremo subito gli infuriati che non vogliono saperne e ripartirà l’antica farsa dello scudo contro la spada. E ci vorranno pure dei maledetti rifugi in cui mettersi in salvo perché la pace non ha vinto. Per quanto ne sappiamo e vediamo, per ora, vince la guerra.

Riaprono le fabbriche di munizioni perché siamo a secco dopo aver rifornito l’Ucraina fra le costanti e intimidatorie promesse putiniane sul possibile uso dell’atomica e di siluri capaci di inabissare la Gran Bretagna. E possiamo anche fare a meno dell’abusato Tolstoj con la sua guerra e la sua pace ai tempi di Napoleone. Che cosa possiamo fare noi – noi Italia e noi Europa – se ci il mostro ci investe con le unghie e con i denti? Guardiamo lo stato del mondo. Da una parte, ciò che siamo abituati a chiamare Occidente, anche se è pieno di Asia e Australia. E dall’altra gli imperi che inaspettatamente ritornano. E ci sono quasi tutti, manca solo quello austroungarico.

È in pieno risveglio l’impero Ottomano del dinamico Erdogan che pretende di giocare su tutti i tavoli mentre punta a Siria, Libia, Iraq e guarda in cagnesco l’Iran. Fra Impero della Persia e quello dello zar c’è un intenso scambio di droni. Se l’Ayatollah decide, o se lo zar decide, di inviarci trecento missili lenti, venti supersonici e una scorta di razzi, che facciamo? Apriamo l’ombrello? Francia e Regno Unito sembrano attrezzati, ma per loro conto: possono (forse) proteggere sé stessi. Non noi. Qualcuno insorgerebbe sostenendo che la guerra deve ad ogni costo essere evitata e tutte le autorità con lui. Il mostro è lei, la guerra, l’innominabile eppure presente di nuovo nella nostra vita. L’avevate dimenticata, vero? Nessuno ha voglia di prepararsi.

A Hiroshima i bambini andavano a scuola, in uniforme e con i pullmini della scuola. Le mamme salutavano, i papà erano già al lavoro. Chi l’avrebbe detto tutto quel traffico del mattino, proprio a Hiroshima, una città così ignota agli occidentali, in tempo di guerra (e di una brutta guerra) e così animata, frenetica, fatta di grida, clacson, di tram con il trolley che raspa il cavo elettrico… è tutto così normale, così normalmente normale. Sono rimaste immagini fotografiche. Ombre. Lastre mal esposte, sovraesposte, non impressionate. Quanti gradi? Cinquemila? Un alito di drago e morte atomica veloce per i fortunati e anni di piaghe e cancro.

L’imperatore aveva detto: ogni giapponese, vecchio o giovane, maschio o femmina, decrepito o lattante, deve armarsi e lottare contro gli invasori. Benissimo, disse il presidente Truman, allora da questo momento ognuno di voi è obiettivo militare ed erano obiettivi militari tutti i tedeschi mentre l’Armata rossa rimangiava l’invasione e Dresda città d’arte fu arsa deliberatamente e inutilmente. No, la storia non si ripete, neppure sotto forma di farsa, ma è in agguato e spariglia. La mia generazione è nata e cresciuta nella guerra e la guerra era la natura delle cose. La guerra erano le statue del cimitero del Verano che correvano in bicicletta, chi con le ali di gesso, chi col casco di marmo da aviatore. Ma la vera principessa di quel bombardamento fu la ragazza rossa venuta dal nulla, fresca e austera con la sua chioma ardente, morta ma disorientata dalle bombe sul cimitero.

Quando ci bombardarono ero molto felice di vedere tutti quegli aerei d’argento e lo scroscio della prima dinamite prometteva una bella festa con tredicimila morti e cento bambini rimasti là sotto. Io la racconto anche per loro. Dicono fate qualcosa e smettete di blaterare. La presenza della guerra va allontanata e fatta precipitare nella fossa comune del tempo se tutti smetteranno di blaterare parole false, banali, sciatte e inutili. E se invece faranno qualcosa di vero, di attivo a favore del giusto e del vero. Abbiamo perso la memoria e la vera paura della guerra. Abbiamo perso il suo odore marcio, fiorito negli occhi dello spavento sui corpi che rotolano con quelle cosce magre di solo femore.

Quale film maker rinuncerebbe al bambino che abbraccia un cadavere di donna e piange indignato. Quale migliore inquadratura di quella di un cielo aperto che nevica detriti e ceneri, coriandoli di voci straniere? Saranno miti stavolta gli stranieri? Si limiteranno a ucciderci con grazia senza infierire, un colpo ai gruppi divisi per famiglie, amanti avvinghiati? Oppure saranno allegri, bevuti, saranno di buon umore e vorranno giocare per vedere di che cosa sono capaci? Cosa volete che ci sia di male nel giocare con la ragazzina che scappa e diventa la palla ovale della partita in cui tutti sono nella mischia? Sì, la guerra del passato, la guerra di tutte le guerre, la guerra da cinquanta milioni di morti che poi saranno cento se ci metti la spagnola e tutti quegli eserciti in camice bianco, medici e suore ospedaliere, in ordinati ospedali da campo tutti morti.

Non uno ce l’ha fatta perché nessuno ancora conosceva bene né il virus né la mitragliatrice. La guerra europea con le divisioni e i reggimenti, i cingolati e i camion di fango si è ritirata nella memoria, così striminzita, così estinta come se non fosse mai esistita. Oh sì, le foto, i filmati. Abbiamo dovuto aspettare le guerre russe per riconoscere l’aroma perduto di emorragia, tumefazioni e di sapore ferrigno dei morti casa per casa. Possiamo dire basta. Avvoltoio, vola via.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.