Ha fatto impressione lo scorso fine settimana vedere il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres inchinarsi a salutare Vladimir Putin al vertice dei cosiddetti BRICS tenutosi a Kazan, in Russia. Canovaccio ribadito con il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko, che Guterres ha calorosamente abbracciato. Episodi forse più estemporanei che coreografati, ma che restituiscono un’istantanea preoccupante della deriva del disordine globale.

Andiamo per ordine. I BRICS – “mattoni” in inglese – sono un gruppo formatosi una ventina d’anni fa per riunire Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Intuizione brillante ma anche amara ironia, dal momento che l’acronimo fu coniato da Jim O’Neill, allora dirigente della spesso vituperata banca d’affari americana Goldman Sachs. L’idea era di mettere a fattore i paesi più popolosi del mondo, dove si concentra la crescita economica e manifatturiera. I cinque mastodonti –  distribuiti in tutti i Continenti – si sarebbero fatti portavoce di una visione del mondo alternativa all’Occidente, fatta di giustizia sociale e sviluppo, facendo proprie le istanze del vecchio blocco “non allineato” nella Guerra fredda che oggi chiamiamo il Sud globale.

Nel corso degli anni i BRICS hanno avuto fortune alterne: il punto più alto forse durante il summit COP sul cambiamento climatico di Copenaghen nel 2009, quando i leader dei cinque paesi si riunirono in una stanzetta per bloccare l’accordo mentre Barack Obama aspettava fuori la porta impotente (altra plastica rappresentazione del cambiamento degli equilibri mondiali). Il decennio passato ha visto alcuni dei leader cambiare, la crisi finanziaria debilitare il potenziale del gruppo che sembrava destinato a quell’inerzia che accomuna tante organizzazioni internazionali. Gli ultimi anni hanno invece registrato una nuova vita. Questa si deve in parte all’incredibile ritorno di Lula in Brasile, uno dei padri nobili del gruppo e sicuramente il più carismatico. Più subdolo e strategico Putin che, con una politica delle alleanze mutuata dall’esperienza sovietica, ha utilizzato i BRICS per dimostrare platealmente all’Occidente che la Russia è tutt’altro che isolata in Ucraina.

Lo scorso anno il gruppo si è allargato ad Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati. La scorsa settimana a Kazan erano rappresentati 36 paesi. Ma parlare di alleanza è eufemistico. Quel che unisce questo gruppo disparato è molto meno di quanto li divide, dalle rivalità bilaterali ai grandi temi quali appunto il clima. È anche palese che – per dirla con Orwell – alcuni animali in questa fattoria siano più uguali degli altri, con la Cina che domina molti degli altri in rapporti di effettivo vassallaggio. È infine impossibile dedurre dai blandi comunicati quale sia l’effettiva visione del mondo che il gruppo intenda avanzare: basti ricordare a questo proposito il “partenariato senza limiti” tra Cina e Russia, firmato pochi giorni prima dell’invasione in Ucraina, che spendeva lunghi ed enfatici paragrafi sulla democrazia.

Anche per questo fa impressione l’abbraccio di Guterres. Ormai da tempo le Nazioni Unite hanno perso l’autorità morale di parlare a nome dell’umanità; troppe e assurde le incongruenze, troppi i colpevoli silenzi che ne hanno minato la credibilità. Il Consiglio di Sicurezza con i cinque membri permanenti è un relitto postbellico bloccato da veti incrociati. Agenzie e consessi collegati al Palazzo di vetro, come il Consiglio dei diritti umani che senza batter ciglio lo scorso anno ha dato la presidenza all’Iran, sono sopraffatti da questo ecumenismo amorale fatto di compromessi e doppi standard.

Inchinarsi a Putin assume in questo contesto un valore simbolico che è difficile ignorare. Durante il suo incontro, Guterres ha ribadito a Putin che l’invasione all’Ucraina vìola la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale. Ma si sa, le immagini sono più forti delle parole e quelle di Kazan comunicano precisamente la normalizzazione di queste violazioni. Per un pubblico istintivamente cinico come il nostro, il messaggio è chiaro: in questo mondo senza regole, siamo in minoranza.