Quella di Ciro Esposito, 43 anni, è un’epopea senza fine. Tutto è iniziato quel maledetto 6 aprile 2020 nel Carcere di Santa Maria Capua Vetere dove era detenuto. Subì quella “orribile mattanza”, la “perquisizione straordinaria”, che diventò violenza sui detenuti da parte di poliziotti in assetto anti sommossa. Quelle immagini  del sistema di videosorveglianza fecero il giro del mondo. Ciro denunciò ai carabinieri quelle violenze e con lui sua moglie Flavia.

Nei giorni in cui scoppiò il caso e furono emesse 52 misure cautelari tra agenti di Polizia Penitenziaria e funzionari accusati a vario titolo di tortura, lesioni aggravate, maltrattamenti aggravati, falso, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio, Flavia disse in varie interviste di aver subito varie pressioni da parte degli agenti affinchè ritirassero le denunce. Ma Flavia e suo marito Ciro non ne hanno voluto sapere “perché quello che è successo è troppo brutto e chi ha sbagliato deve pagare”, aveva detto Flavia ai microfoni di varie testate.

Ciro prima fu trasferito al carcere di Secondigliano e poi ancora più lontano, a Spoleto. Ha più volte chiesto il riavvicinamento. Lo ha fatto anche in una lettera pubblicata dal Riformista, in cui raccontava la sua situazione, minacciando anche il suicidio. “Io ho già avuto un brutto periodo nel passato e sto ancora qua grazie a una dottoressa del carcere di Benevento che mi ha salvato la vita quando stavo morendo nel carcere di Benevento per il mio gesto estremo. Ora prendo ancora farmaci ma solo per dormire, perché come inserimento non c’è nulla. Ora ho ricevuto ancora un altro regalo del Dap: essere trasferito a Spoleto. Dopo ciò che è accaduto le conseguenze chi le sta pagando? Io e la mia famiglia che mi è impossibile rivedere. Questa cosa mi sta uccidendo”, scriveva Ciro nella lettera.

Da allora la paura è tanta e Ciro, che prende psicofarmaci ed è un soggetto fragile, per paura che anche nel carcere di Spoleto qualcuno gli possa far male ha iniziato a camminare con tre lamette in bocca. “Una notte, nel sonno, le ha ingerite senza accorgersene – racconta Flavia al Riformista – Da allora sono passati 15 giorni. Dalla tac è emerso che si sono divise in 3 organi diversi ma non lo portano in ospedale. La dottoressa gli ha detto che deve espellerle per via naturale, mangiando patate. Io penso che così poteva succedere dopo 1 o 2 giorni, ma non 15 giorni dopo. E adesso quelle lamette stanno ancora là con il rischio per la sua salute. Perché non si decidono a portarlo in ospedale?”.

L’avvocato Rolando Iorio che difende Ciro e la sua famiglia, gli ha fatto visita in carcere a Spoleto. Quello che ha visto è una situazione drammatica. “L’ho trovato molto dimagrito, invecchiato, si muoveva lentamente – racconta l’avvocato al Riformista – Parlava piano e aveva difficoltà anche a rispondere alle mie domande. Ma la situazione che più mi preoccupa sono quelle lamette nel suo corpo. Ancora non è stato previsto nessun intervento per togliergliele”.

L’avvocato spiega che Ciro già prendeva psicofarmaci perché ha problemi mentali. È un soggetto fragile e la situazione sta via via peggiorando. “Non so se stia prendendo gli stessi farmaci ma sicuramente non l’ho trovato bene – continua l’avvocato – Gli hanno fatto una tac e hanno visto che queste lamette sono ora in posizioni diverse. È assurdo che non ci sia in programma un modo per rimuoverle”.

Non occuparsi di lui può essere una ritorsione dopo le denunce? “Non ci voglio nemmeno pensare a una ipotesi di questo tipo – dice Iorio – Non credo che ci siano connessioni con i fatti di Santa Maria Capua Vetere. Non credo ci sia malafede, solo ritardo, ma bisogna intervenire perché la situazione è grave”. Intanto Flavia spera che l’istanza di riavvicinamento sia presa in considerazione e che Ciro venga trasferito in un altro carcere più vicino a casa.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.