“Le ragazze prigioniere erano come mie figlie. I terroristi portavano loro vestiti inappropriati, vestiti per bambole e le trattavano come loro bambole. Bambole a cui puoi fare quello che vuoi, quando vuoi”. Il racconto di Aviva Siegel, prigioniera di Hamas dal 7 ottobre fino alla sua liberazione a novembre, è la descrizione di un abisso. Rapita insieme al marito nel kibbutz di Kfar Aza, la donna ha visto con i suoi occhi gli abusi dei miliziani di Hamas contro ragazze e anche ragazzi tenuti prigionieri dopo l’assalto contro il sud di Israele. Parole che hanno scosso la commissione parlamentare israeliana che si occupa di questo delicato e tragico segmento dell’attacco del 7 ottobre. Ma sono anche parole che, come ha detto la figlia di Siegel, potrebbero essere anche solo drammaticamente “la punta dell’iceberg”.

Le preoccupazioni

Sotto quelle dichiarazioni, c’è un orrore fatto di vessazioni, stupri e di angoscia per il destino delle persone ancora nelle mani dei terroristi. Con il timore che riguarda non solo la vita stessa delle ragazze sequestrate, ma anche il possibile e drammatico scenario di gravidanze sorte a causa delle violenze subite durante la prigionia. Una preoccupazione espressa anche da Chen Goldstein Almog, un altro ex ostaggio nelle mani di Hamas, che ha raccontato che “molte ragazze non hanno avuto il ciclo” e che “forse per questo dovremmo pregare, perché il corpo in qualche modo le protegga in modo che, Dio non voglia, non rimangano incinte”. Ed è anche per questo che il Times of Israel ha ricordato la straziante richiesta della madre di una delle ragazze in ostaggio: di inviare, tra i medicinali destinati ai rapiti di Gaza, anche pillole abortive.

Proseguono i colloqui per la tregua

Lo scenario è drammatico. Difficile da accettare per i familiari degli ostaggi ma anche per l’opinione pubblica israeliana, sempre più frustrata da una guerra potenzialmente ancora molto lunga e dalla vita di circa 130 connazionali ancora appesa alle volontà dei miliziani di Hamas e delle altre fazioni che combattono nella Striscia di Gaza. I colloqui per una tregua e per la liberazione definitiva di tutte le persone sequestrate il 7 ottobre proseguono senza sosta. Il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed Al-Ansari, ha parlato di “discussioni serie da entrambe le parti” e che il governo riceve “un flusso costante di risposte da entrambe le parti”. Da Doha parlano di cauto ottimismo dovuto al fatto che il dialogo, anche se ancora difficoltoso, appare quantomeno costante. Ma le ultime proposte di intesa per un cessate il fuoco e l fine dei sequestri sono state rifiutate da entrambe le parti. Per Israele, ogni tregua che abbia una durata più ampia deve essere basata sulla fine della presenza di Hamas: obiettivo primario dell’operazione militare nella Striscia iniziata a ottobre.

Il punto

Dall’altro lato, però, l’organizzazione palestinese avrebbe detto di rifiutare qualsiasi tipo di proposta che non prevede la fine della presenza militare delle Israel defense forces a Gaza e nei dintorni. Ipotesi, quest’ultima, che al momento né il premier Benjamin Netanyahu né i comandi delle Tsahal possono prendere in considerazione, a maggior ragione dopo le notizie giunte ieri che hanno confermato la morte di 21 i soldati israeliani nelle 24 ore precedenti. L’annuncio è stato dato dal portavoce delle Idf, Daniel Hagari, che ha spiegato che la maggior parte dei militari caduti era deceduta a causa di un esploso in un deposito e un edificio che l’esercito aveva minato per farli crollare. “Nel nome dei nostri eroi, per il bene delle nostre vite, non smetteremo di combattere fino alla vittoria totale” ha scritto Netanyahu ricordando i soldati morti. E mentre le forze armate di Israele hanno aperto un’indagine per capire cosa sia andato storto nell’episodio che ha portato alla morte di quei 21 militari, l’avanzata è ripresa concentrandosi sulla roccaforte meridionale di Khan Younis. Hamas ha commentato la notizia rivolgendosi sia a Israele che agli Stati Uniti: “Devono capire bene il messaggio”.