Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha rinviato il suo viaggio nella regione mediorientale; le prospettive di un accordo di cessate il fuoco a Gaza sono passate da incerte a improbabili. Hamas ha fatto sapere che sta perdendo fiducia nella capacità degli Stati Uniti di mediare una cessazione delle ostilità e non intende partecipare ai colloqui di Doha del 15 agosto se non sulla base delle condizioni generali ribadite ai mediatori egiziani, tramite Khalil al-Hayya, dal nuovo capo politico a Gaza, Sinwar, che chiede il ritiro completo e immediato di Israele.

L’inutilità della diplomazia

Appare evidente che – nonostante la presenza in Medio Oriente di alti funzionari americani – i negoziati e tutta la diplomazia dei canali secondari non sono maturati ed è come se i colloqui, per avere una minima speranza di successo, avessero bisogno ancora di altro tempo prima di riprendere. E questo lascia la comunità internazionale con il fiato sospeso. A quasi 10 mesi dalla guerra tra Israele e Hamas, l’amministrazione statunitense e diversi partner nella regione stanno cercando strenuamente – davanti a sempre maggiori difficoltà – di impedire che questo conflitto si estenda e che finisca col trascinare dentro anche gli americani. La rampa di uscita diplomatica che Stati Uniti, Egitto e Qatar avevano approntato per riprendere i colloqui per un cessate il fuoco sta crollando e Iran ed Hezbollah si trovano di fronte a un “dilemma politico“, del tipo di quello descritto da Joseph Heller nel suo romanzo Catch-22, “Comma 22” che racconta in modo graffiante la follia e l’orrore generati dagli uomini attraverso la guerra per le conseguenze terribili che inevitabilmente determina.

Iran consapevole della forza militare di Israele

L’Iran ed Hezbollah sono consapevoli di aver perso buona parte della loro capacità di deterrenza e ora si trovano di fronte a un dilemma politico: una risposta debole incoraggerebbe Israele ad andare avanti nel decapitare le organizzazioni palestinesi che mirano alla distruzione dello Stato ebraico; ma se colpissero troppo duramente la risposta di Israele si abbatterebbe su Teheran rischiando di provocare la caduta della Repubblica islamica che sta vivendo la fase più critica della sua esistenza, con disaccordi e scontri sempre più feroci nelle faide interne al corpo dei pasdaran e nello stesso clero sciita. Questo è il momento più critico che sta vivendo Teheran, che cerca un modo per ripristinare la sua deterrenza contro Israele dopo aver subìto un duro colpo sui denti con l’uccisione del leader di Hamas nella Capitale dell’Iran, che era sotto protezione dei Servizi iraniani.

Ora Teheran sta studiando un modo per ripristinare la propria deterrenza senza scatenare un conflitto regionale, dal quale difficilmente la Repubblica islamica ne uscirebbe in piedi. Adesso gli occhi sono puntati su quello che appare come l’ultimo disperato tentativo del presidente Biden di cercare di costruire una rampa di uscita diplomatica per l’Iran, per consentirgli di tirarsi indietro dal dover rispondere. Khamenei è messo con le spalle al muro, stretto da Israele, dalle frange più radicali e fanatiche del suo regime, vicine ad Hamas, e da quelle più dialoganti che chiedono di rinunciare a qualsiasi risposta forte e di limitarsi un’azione simbolica per vendicare l’onorabilità ferita. Hezbollah – considerato il gruppo più potente della rete dei proxi dell’Iran – fa sapere di essere pronto a una risposta anche senza l’impegno diretto di Teheran, ma precisa che non vuole una guerra perché “il Libano sta continuando a soffrire” per il crollo finanziario del 2019, il più doloroso e significativo disastro economico nella storia del paese. In Libano è impressa nella memoria di tutti il disastro del 2006, della seconda guerra israelo-libanese, un conflitto durato 34 giorni dal quale il paese è uscito in ginocchio.

Il piano dell’Iran secondo oo7 Israele

Intanto, secondo l’Intelligence israeliana, l’Iran lavora per aprire un “nuovo fronte terroristico orientale” nella sua guerra per procura contro lo Stato ebraico. Agenti di Hamas sono presenti in Libano per introdurre clandestinamente armi in Giordania e trasferirvi fondi allo scopo di destabilizzare la regione. Il ministero degli Esteri israeliano sostiene che dalla Giordania le armi verrebbero contrabbandate attraverso il confine orientale, “inondando” la Cisgiordania, in particolare i campi profughi, con armi pericolose e ingenti somme di denaro, “con l’obiettivo di creare un fronte terroristico islamico filoiraniano, come creato a Gaza, in Libano e in altre aree, che avrebbe nel mirino Tel Aviv e i principali centri abitati di Israele”.

Nel frattempo, nel suo discorso di mercoledì, la guida suprema iraniana Khamenei ha messo in guardia dalla “ira divina”, come recita il Sacro Corano, se l’Iran dovesse fare marcia indietro nella risposta a Israele e ha condannato quella che definisce la “guerra psicologica del nemico“, volta a costringere il paese a riconsiderare la possibilità di rappresaglie contro lo Stato ebraico dopo l’uccisione del leader politico di Hamas. La radio dell’esercito israeliano ha riferito che Israele ha avvertito gli Stati Uniti e le nazioni europee che qualsiasi aggressione diretta da parte di Teheran avrebbe innescato, inevitabilmente, un attacco israeliano sul territorio iraniano, sottolineando la propria intenzione di reagire, anche se non vi dovessero essere vittime israeliane.