Con significativo ritardo, dalle riflessioni sul voto statunitense comincia a fare capolino la consapevolezza che tra i motivi della sconfitta di Kamala Harris qualche peso ha avuto la scelta del sussiegoso corpaccione democratico di far fuori Josh Shapiro, il governatore della Pennsylvania che avrebbe potuto dare un colore un po’ meno demagogico alla scialba candidata sghignazzante. E – ma appunto è tardi – comincia a prendere le fattezze genuine la decisione di accantonare un compagno di viaggio più preparato, più popolare, con più accreditamento rispetto a quello che invece invece poteva vantare Tim Walz, lo zio buono dei diritti accomodato sul divano dell’America incanutita nel ricordo dell’oratoria di Barack Obama.

Shapiro non gradito perché “ebreo”

Non era per deficit di preparazione, né di popolarità, né per mancanza di riscontro elettorale e per incapacità di guadagnarne se Josh Shapiro finiva a mo’ di persona non gradita. Era un altro difetto a contrassegnarne l’inadeguatezza: era ebreo. L’amministrazione democratica, travolta dalla propria mancanza di convinzione nel ripudio di una sollevazione neppure soltanto anti-israeliana, ma decisamente antisemita, che in quel paese non ha mai avuto simili precedenti, ha deciso di non potersi permettere lo scandalo di un candidato vicepresidente ebreo. Una realtà incompatibile in quel milieu occhiaggiante alle sedizioni studentesche e alla rispettabilità pro-palestinese dei carrozzoni della cooperazione internazionale.

La ‘macchia’ che rovinava sofferenza di Gaza

Una macchia che avrebbe contaminato le purezze equidistanti dei discorsi sulla sofferenza di Gaza, avrebbe pregiudicato la rotondità dei comizioni per la pace rigorosamente articolati sull’assenza di qualsiasi riferimento alla parte – Hamas – che rivendica di aver chiamato sulla popolazione civile i bombardamenti davanti ai quali Kamala Harris gridava di “non poter tacere”. Ora qualcuno rimprovera alla perdente di essere stata non solo poco commendevole in quella scelta, viste le ragioni sostanzialmente antisemite che la determinavano, ma anche poco lungimirante. E non si tratta soltanto del fatto che il voto ebraico – non decisivo, ma non irrilevante – mai prima si era rivolto in questa misura in favore del fronte repubblicano; si tratta del fatto che Shapiro, ben al di là della propria identità, avrebbe saputo costruire e assicurare un consenso più largo al “duo” cui avesse partecipato. Harris ha scelto di compiacere, o almeno di non indispettire, i campus della caccia all’ebreo, i manifestanti che portano le insegne di Hamas a Times Square e la cultura onusiana che difende la causa palestinese spiegando che i massacri del 7 ottobre non venivano dal nulla. Se non l’avesse fatto, forse, avrebbe perso lo stesso. Se non l’avesse fatto, sicuramente, avrebbe meritato di perdere per un motivo in meno