Un dossier incandescente. Una scia di sangue, di dollari e di armi che dall’Iran penetra in tutto il mondo. Le trenta pagine di nomi, dati, sigle, movimenti di conto corrente lasciano sbalorditi. Le abbiamo passate in rassegna, increduli. Ce le mostrano, illustrandole una a una, due ricercatori nell’ambito della business intelligence dal profilo scientifico rigoroso: l’italiano Emanuele Ottolenghi e l’israeliano Danny Citrinowicz. Il loro lavoro è frutto di dieci anni di studio.

Un impegno portato avanti con il monitoraggio delle principali entità di finanza islamica parallela che operano nei cinque continenti. All’unisono. Producendo un miliardo di dollari di proventi neri ogni anno per le casse di Hezbollah. Uno dei bracci armati dell’Iran in Medio Oriente, e non certo il solo. Il costo della guerra alla civiltà occidentale, e nello specifico a quell’avamposto di democrazia che è Israele, è caro. Nell’insieme, molto più caro di un solo miliardo di dollari. Migliaia di nuovi missili ogni anno, centinaia di migliaia di ordigni minori, decine di quintali di kalashnikov, mezzo milione di miliziani stipendiati, senza contare i fondi neri per la corruzione in mezzo pianeta. Il 7 ottobre abbiamo visto all’opera, come nei road show di qualunque grande industria, il frutto di quello che a Teheran considerano un buon investimento: quello per porre fine all’esistenza di Israele. E da lì in poi fare la guerra all’Europa e agli Stati Uniti. Servono fiumi di denaro. L’Iran ne ha, ha lo stesso Pil della Spagna.

Il manuale di criminologia 

Ma il suo contributo a Hezbollah, che dell’Iran è solo uno dei proxy, è stimato al 30%. Il restante 70% Hezbollah lo ricava da una intricata ragnatela di attività illecite di ogni tipo: dalla tratta di esseri umani al commercio di organi, da quello della droga al riciclaggio, dal traffico di armi a quello di diamanti. C’è un intero manuale di criminologia, negli elenchi che riportano all’intreccio delle scatole cinesi iraniane. I due ricercatori espongono i fatti e mostrano nomi e cognomi, indirizzo delle aziende e flussi finanziari: dimostrano il volume d’affari delle triangolazioni di materiale bellico di ogni tipo di cui la Russia di Putin è la principale cliente. Danny Citrinowicz è Research fellow nel programma di ricerca sull’Iran dell’Institute for National Security Studies (INSS). È anche Non-Resident fellow per il Middle East Program dell’Atlantic Council.

Per venticinque anni ha ricoperto diverse posizioni di comando nell’Israel Defense Intelligence (IDI), comprese la direzione della sezione sull’Iran della Research and Analysis Division (RAD) dell’IDI, e la rappresentanza della RAD negli Stati Uniti. Citrinowicz punta sui tentativi d’ingerenza iraniani che «non vanno a colpire solo Israele, ma tutta la comunità internazionale», citando ad esempio la questione del nucleare ma anche le forniture di armamenti in conflitti che si consumano in diverse aree del mondo, come nel caso dei droni utilizzati in Ucraina dalle forze russe e delle forniture belliche inviate in Sudan. La minaccia iraniana è sia nucleare che nel settore delle armi convenzionali, dunque, ma per Citrinowicz un terzo elemento da tenere in considerazione è la connessione di Teheran con la Russia, una «cooperazione strategica» e non solo militare, secondo l’esperto.

Hezbollah e le mafie italiane

Emanuele Ottolenghi è Senior advisor per 240 Analytics, piattaforma di analisi di rischio nel campo del finanziamento al terrorismo, ed in particolare si occupa di mappatura e monitoraggio delle reti di minacce ibride di Iran e Hezbollah, tracciamento delle reti di evasione delle sanzioni iraniane e indagini sul nesso tra terrorismo e criminalità. In precedenza, fra le altre cose, ha insegnato studi israeliani al St. Antony’s College dell’Università di Oxford e dal 2006 al 2010 diretto il Transatlantic Institute di Bruxelles. Entrambi puntano il dito in particolare sui rapporti tra Iran e Europa: la criminalità organizzata non potrebbe contare sulla quantità di stupefacenti che ha, se non ci fosse Hezbollah a fornirla. Vale a maggior ragione per l’Italia. Dove agenti iraniani vanno e vengono, anche per varcare il confine con la Svizzera (vedi il caso Abedini), e ci sarebbero conti correnti sui quali dall’Italia vengono depositati importi rilevanti che finiscono nella disponibilità della galassia terrorista. Follow the money e si troverà il vero asse del male, le nostre mafie e quelle del Medio Oriente, profondamente intrecciate.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.