Per decenni, una città-stato di sette milioni e mezzo di abitanti è stata la quarta borsa più importante al mondo. Il sogno per gli uomini d’affari. Ma, svanita la magia, quella città-stato famosa per il mercato azionario, oggi è famosa per le leggi repressive e assomiglia sempre più a una qualunque città della Cina. Hong Kong è stata una colonia britannica dai tempi della Guerra dell’oppio di metà Ottocento fino al 1997, con una breve parentesi di occupazione giapponese, durante il secondo conflitto mondiale. Stando agli accordi, cui presenziò anche l’allora Principe Carlo, dopo che l’ultimo governatore britannico Chris Patten avrebbe lasciato il territorio, si sarebbe entrati in una fase di transizione verso l’amministrazione centrale di Pechino, con la garanzia di una certa autonomia per cinquanta anni, sancendo la politica del “un Paese, due sistemi”. Così non è stato.

Le prime strette sulle libertà personali

Già dopo cinque anni la popolazione scese nelle strade per impedire le prime strette sulle libertà personali. Nel 2014, poi, per preservare il suffragio universale. la mobilitazione si organizzò nella protesta degli ombrelli, utilizzati per proteggersi dai lacrimogeni lanciati dalla polizia. Il 2019 è l’anno in cui Pechino ha smantellato l’autonomia giudiziaria dell’ex-colonia, con una legge speciale sull’estradizione per una varietà di reati. Anche in quel caso le proteste di popolo furono plateali. Le misure di contrasto alla diffusione di Covid19 hanno poi dato modo alle autorità di calcare la mano sulla limitazione delle libertà di associazione e di spostamento. Proprio durante i lockdown fu approvata una prima Legge sulla Sicurezza Nazionale, sulla cui base furono arrestate almeno duecentocinquanta persone, fra cui studenti e giornalisti. La riforma elettorale del 2022 ha imposto candidature patriottiche, con il risultato che l’attuale esecutivo di Hong Kong, guidato dall’ex poliziotto John Lee, è affiancato da una Assemblea composta da parlamentari filocinesi, a cui si aggiungono quelli della componente non-eletta direttamente nominati dal Partito Comunista di Pechino.

La faticosa attività politica

Ma per l’opposizione nessun seggio e, molto presto, neanche più un partito. Il Partito Democratico della ex-colonia ha infatti avviato il processo di scioglimento, sotto pressioni e minacce di funzionari del Governo centrale. Fondato nel 1994 dalla fusione di diversi gruppi liberali presenti sul territorio, è sempre stato il principale polo di opposizione al regime cinese, battendosi contro le interferenze e la repressione del dissenso. Tuttavia, gli ultimi anni ha fatto sempre più fatica a portare avanti la sua attività politica ed ha, tra l’altro, assistito alla carcerazione di cinque suoi esponenti di spicco, accusati di aver violato la Legge sulla Salvaguardia della sicurezza nazionale. Un pacchetto normativo dai contenuti volutamente vaghi, il cui ampliamento è stato approvato un anno fa, come atto di fedeltà a Xi Jinping. Un giro di vite definitivo sul controllo di una società civile abituata a godere di libertà individuali mai esistite in Cina.

La stessa sorte del partito civico

Emarginato dal gioco istituzionale e decapitato nei suoi vertici, il Partito Democratico di Hong Kong ha accettato la stessa sorte toccata al secondo gruppo di opposizione della città, il Partito Civico, scioltosi nel 2023. Stando alle dichiarazioni di un dirigente del Partito, intermediari di Pechino gli hanno intimato di completare il processo di smantellamento entro le prossime elezioni legislative in programma a dicembre, pena non specificate “gravi conseguenze”. L’accelerata di Pechino è riconducibile probabilmente anche all’irritazione per la trattativa in stato avanzato dell’acquisizione dei porti controllati dalla Ck Hutchinson, da parte di un consorzio a trazione statunitense e che vede anche la partecipazione della italiana Msc. Una mossa che si inserisce nella delicata partita delle tensioni geopolitiche e interessa anche due scali di Panama. Intanto, per la città-stato che tradotta significa “porto profumato” la fine dell’opposizione è stata sancita. Il processo di sinizzazione, che la Repubblica Popolare ha forzato nell’ultimo ventennio è ormai quasi ultimato e quel luogo un tempo magico per gli uomini d’affari si avvia a diventare un covo impregnato da sospetto, intimidazioni e censura, si avvia a diventare semplicemente sempre più cinese.

Salvatore Baldari

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