Il timore di un conflitto regionale cresce parallelamente all’evoluzione della guerra nella Striscia di Gaza. L’Iran ha alzato il livello dello scontro in tutta la regione, raggiungendo anche il Pakistan. Ieri un attacco missilistico delle forze di Teheran ha colpito in territorio pakistano un gruppo terrorista salafita, il Jaish al-Adl, provocando però anche la morte di una bambina di sei anni e di un bambino di 11 mesi. Il raid ha scatenato l’ira del governo di Islamabad, che ha richiamato l’ambasciatore in Iran ed esortato l’omologo iraniano a non fare ritorno in Pakistan. Per la Repubblica islamica, gli obiettivi dell’attacco erano solo i membri del gruppo terrorista. Ma la preoccupazione per un allargamento della crisi continua a essere particolarmente viva. Questo timore ha attivato anche la diplomazia di Pechino, intimorita dall’avvicinamento della tensione alle porte dell’Asia centrale e in un Paese strategicamente rilevante come il Pakistan.

La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha chiesto “a entrambe le parti di dare prova di moderazione, evitare azioni che potrebbero portare a un’escalation delle tensioni e lavorare insieme per mantenere pace e stabilità”. E l’esortazione della Repubblica popolare conferma che l’ampliamento dell’incendio mediorientale non inquieta più solo Washington, sempre più coinvolta nelle tensioni regionali. Ieri l’amministrazione Biden ha reinserito gli Houthi nella lista dei gruppi terroristici. La designazione di “entità terrorista globale” aiuterà il Dipartimento di Stato nella lotta contro la rete di finanziamento e di supporto che riceve la milizia filoiraniana dello Yemen, ma è soprattutto un segnale politico forte, dal momento che i combattenti sciiti saranno a tutti gli effetti inclusi tra gli obiettivi nella guerra al terrore degli Stati Uniti dopo i raid condotti in questi giorni su suolo yemenita da Usa e Uk. Un portavoce Mohammad Abdul Salam ha chiarito che questa mossa non distoglierà gli Houthi dalla “ferma posizione a sostegno dei palestinesi”.

Il messaggio da Sanaa è che le forze yemenite continueranno l’escalation iniziata mentre esplodeva la guerra nella Striscia di Gaza. E lo stesso portavoce ha promesso anche che gli Houthi continueranno gli attacchi contro le navi commerciali che fanno rotta nel Mar Rosso. Questa minaccia non fa che aumentare i timori delle compagnie di navigazione, preoccupate dai raid contro le portacontainer che solcano Bab el-Mandeb. Ieri è arrivato l’annuncio che anche la Nippon Yusen ha deciso di fermare i trasporti su quelle rotte. E l’impressione è che la milizia filoiraniana non sia intenzionata a cedere. Un indizio è stato fornito anche da Teheran (regista-ombra della crisi nel quadrante), il cui ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian ha detto che “la sicurezza del Mar Rosso è legata a ciò che sta accadendo a Gaza, e se ciò che sta accadendo a Gaza non si ferma, perderemo tutti”.

Il ministro iraniano ha inoltre avvertito che il conflitto tra Hamas e Israele può condurre allo stop del negoziato tra Arabia Saudita e Houthi, certificando il legame tra i vari focolai. Il nucleo di tutto resta dunque la guerra nell’exclave palestinese, dove è stato sbloccato il primo carico di medicinali per gli ostaggi e i civili ottenuto con un accordo mediato da Qatar e Francia. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, dopo le critiche della destra radicale, ha ordinato ai militari di procedere al controllo dei carichi, facendo marcia indietro rispetto alla decisione di esentarli dalle ispezioni. Mentre sul fronte bellico, le parole del premier sono state ancora una volta nette: “La guerra continua e continuerà fino alla fine, fino a quando non avremo completato tutti i nostri obiettivi”. L’operazione militare dunque continua. E dalla Striscia di Gaza, oscurata da un lungo blackout delle telecomunicazioni, Hamas minaccia nuovi attacchi contro le Tsahal e garantisce che i suoi leader non se ne andranno se non da vincitori o da “martiri”.