Non si vendono più auto? Produciamo carri armati. L’idea di Adolfo Urso sembra una parafrasi della frase famosa attribuita alla regina Maria Antonietta, che – informata delle necessità alimentari del popolo francese – avrebbe detto: “Non hanno più pane? Mangino brioches”. Auguriamo lunga vita al ministro delle Imprese e del Made in Italy – la regina non finì bene i suoi giorni – ma forse sarebbe il caso di fare una pausa e una riflessione.

La corsa al riarmo lanciata dall’Unione europea, attraverso la sua leader senza consenso popolare, Ursula von der Leyen, sembra l’unica occasione in cui il vecchio continente voglia smentire la fama di bradipo internazionale, capace di spendere riunioni e regolamenti sui tappi di plastica delle bottiglie e incapace di opporsi alla perdita di ogni opportunità produttiva strategica, dalle energie rinnovabili alla siderurgia, facendosi scippare da cinesi e americani ogni business sensato per il futuro.

Il suicidio dell’automotive

L’automotive è un esempio lampante di questo immobilismo europeo, che in poche decine di anni ha scelto la via del suicidio economico di un intero comparto che ha fatto grande l’industria continentale (tedesca, francese e italiana), bruciando sull’altare della decarbonizzazione tecnologie sofisticate elaborate al servizio dei motori diesel e benzina. Da Maastricht in poi, l’Europa ha inanellato una lunga serie di insuccessi che hanno finito per dare ragione a chi la definisce marginale e ininfluente sulla ribalta internazionale dove i protagonisti, a torto o a ragione, sono poche superpotenze: Cina, Stati Uniti e Russia. E magari l’India, all’orizzonte.

Il riarmo è la strada migliore per riconquistare la leadership?

Siamo sicuri che per riconquistare una leadership, persa almeno dai tempi del secondo conflitto mondiale, sia proprio il riarmo la strada migliore? Non è il dubbio languido dei pacifisti che riempiono le piazze del sabato pomeriggio, tra un aperitivo e un film al cinema d’essai. Con una ruvidezza tutta militare, il generale Marco Bertolini – già comandante della Folgore – la risolve così: “La Ue di Ventotene, di Spinelli e della Pace, non esiste più, se mai fosse esistita. È morta con il sostegno guerrafondaio dato all’Ucraina e con la guerra contro la Federazione Russa”. Troppo sbrigativo? Forse. Ma oggi che cos’è l’Europa? Forse parafrasando il principe Metternich – che lo diceva per l’Italia a metà dell’Ottocento – potremmo dire che è poco più di un’espressione geografica. D’altronde, il suo Parlamento non è stato nemmeno consultato dai vertici di Bruxelles. E non lo sarà, anche se di mezzo ci sono centinaia di miliardi di investimenti per il progetto ReArm.

La posizione di Starmer

Possibile che l’Unione europea si stia accodando al progetto revanchista della Gran Bretagna, che dopo aver deliberato la sua “Brexit” oggi si pone come stratega nostalgico di un Impero che fu? Il premier britannico Keir Starmer, di fatto, ha strappato la guida della “coalizione dei volenterosi” al presidente francese Emmanuel Macron, che aveva convocato i leader per la prima volta, a Parigi. “Il mondo ha bisogno di azione, non di parole vuote o di condizioni”. E per questo si passa “alla fase operativa” – annuncia Starmer – e “nell’eventualità di un cessate il fuoco, abbiamo sottolineato la necessità di un forte sistema di monitoraggio, per garantire che qualsiasi violazione dell’accordo venga identificata e denunciata, abbiamo riaffermato il nostro impegno per la sicurezza a lungo termine dell’Ucraina e concordato sul fatto che l’Ucraina deve essere in grado di difendersi e di scoraggiare le future aggressioni russe”.

Dalle auto ai carri armati

La nuova Europa è questa? Il governo italiano prova a fare timidi distinguo – nessun invio di militari, cerchiamo di recuperare la sponda americana – ma intanto prova ad accodarsi ai progetti di riconversione industriale, che potrebbe essere lo scopo nazionalistico (tedesco) della moglie del barone von der Leyen: dare nuovo futuro alle fabbriche d’automobili invendute, attraverso la produzione bellica. Adolfo (il nome di battesimo non aiuta, o aiuta troppo) Urso ipotizza già incentivi fiscali: 2,5 miliardi nel triennio 2025-2027 a supporto della filiera in trasformazione. “Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori, per questo – ha detto Urso – incentiviamo le aziende della filiera a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita come la Difesa, l’aerospazio, la blue economy, la cybersicurezza”.

L’industria del futuro

All’orizzonte ci potrebbe anche essere di peggio. In questa nuova Europa, lesta come una tigre (di carta?), aleggia un progetto finanziario che agli italiani ricorda il domestico dottor Sottile: la voglia di mettere mano ai conti correnti e al risparmio dei cittadini, colpevoli – secondo i tribuni europei senza voti, ma con tanta voglia di denaro – di lasciare troppi soldi fuori dai circuiti della grande finanza. Quale occasione migliore per inventare qualche strumento finanziario per dirottare le risorse dormienti nella nuova grande e luminosa industria bellica del futuro? Ma se facessimo un time-out? Giusto per riflettere un po’, con tutta la lentezza europea che ci contraddistingue.