La moralizzazione dei costumi, della cultura, del modo stesso di stare in società è una tendenza, e una tentazione, assai risalente nella storia umana, e che pure ha attraversato varie fasi e si è ammantata di diversa intensità.
Se per Le Goff, l’influenza del Cristianesimo nel medioevo finì per creare uno spazio bianco di impenetrabilità di alcune questioni nella narrazione comune, tra cui i piaceri del corpo, sarebbe assai ingiusto colpevolizzare solo Chiesa e messaggio cristiano.
È d’altronde innegabile che una sorta di puritanesimo della virilità vi sia stato anche nel pieno dell’epoca pagana, come ha mirabilmente affrescato lo storico P. Veyne a proposito della civiltà imperiale romana.
È indubbio che in certo Cristianesimo mistico, purissimo, il superamento della corporeità e pertanto l’emersione stessa dell’eros sia stato visto e vissuto come tema decisivo per la dicotomia tra bene e male, e basterebbe in tal senso pensare ai furori di San Francesco e al suo ruzzolare tra campi ingombri di gelida neve.
L’uomo civilizzato, per dirla con Max Scheler, finisce con il divenire un ‘asceta della vita’, un essere conculcato da schemi e dispositivi, il foucaultiano ordine del discorso che scientificizza e inaridisce le pulsioni erotiche, vitali: la carne recede ad ancillare manifestazione di un senso ulteriore, quasi da nascondere e le pulsioni primarie, ferine, ci spaventano tanto che, come ha mirabilmente ricostruito Arnold Gehlen, la civilizzazione ha ipostatizzato una funzione di esonero dal senso stesso di queste pulsioni.
Eppure esse ci sono. Sono presenti. Ora latenti, ora colme di gioiosa baldanza, fanno parte della nostra ontologia e della presenza storica dell’eros, un eros tiranno, senziente, sanguigno e raffinato.
Per questo, ora la battaglia si è spostata di latitudine, e non è più rimozione psichica ma eradicazione forzata: il processo di de-erotizzazione dell’individuo, del nudo, del piacere scorre lungo le praterie digitali dei social network, cagionato dalle parole d’ordine del transfemminismo e delle varie teorie critiche intersezionali, dal politicamente corretto.
Preziosissima per questo la bella mostra ‘I Censurati – nudo e censura nell’arte italiana d’oggi’ che da settembre 2023 a marzo 2024 si terrà al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Rivera, curata da Camillo Langone e resa possibile, per ospitalità istituzionale, dal Presidente Giordano Bruno Guerri.
Il catalogo dell’opera è edito da Liberilibri, con una introduzione dello stesso Langone e la riproduzione, commentata, delle opere esposte. Una teoria di autori divenuti maledetti senza che nessuno di loro fosse interessato al maudit, dai nudi mitologici e anatomicamente perfetti di Roberto Ferri all’erotismo quasi casalingo di Riccardo Mannelli, il cui afrore puntuto di pornografia amatoriale sembra provenire da un’epoca di fermo posta e scambi di coppia, passando per il divertito erotismo di Jara Marzulli, che gigioneggia con i classici dell’arte, e per l’eros di tanti altri.
Tutti gli artisti presenti sono passati attraverso le fauci della censura, azionate dalle policy dei social media, incapaci di discernere arte da mera pornografia e per cui spesso la mera presenza di un capezzolo è indice di vulnus al pudore, fauci incoronate sovrane dalla mentalità comune dell’oggi, intrisa di un moralismo conformista che con la scusa di abbattere limiti ne crea sempre di nuovi.
E come sottolinea Langone nella sua introduzione, la censura applicata alle raffigurazioni artistiche si sta espandendo fino ad abbracciare anche i classici, da Rubens a Cagnacci. Le piattaforme social non vanno tanto per il sottile, i loro algoritmi non poi così intelligenti passano al tritacarne la nudità, a prescindere dal suo senso, dal suo contesto e dalla sua forma artistica.
Quel che ne emerge è che la nuova moralizzazione è più pericolosa di quella passata; perché quella religiosa e filosofica poggiava su fondamenta concettuali, se ne poteva dibattere, cercando di rovesciarne i postulati, quella odierna invece è pericolosa, perché fanaticamente meccanica e robotizzata.