Dopo la conferenza stampa di mercoledì del Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, durante la quale ha bocciato i quesiti referendari su eutanasia legale e cannabis, non si è lasciata attendere la controffensiva dei due comitati promotori che ieri hanno organizzato un incontro con i giornalisti. Ha esordito così Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni: «Ascoltare la conferenza stampa del presidente Amato ci ha dato la certezza di elementi di valutazione politica, perché si è trattato di una conferenza stampa politica» durante la quale «i giudizi emersi hanno minato agli occhi dell’opinione pubblica la credibilità dei comitati promotori, a cui è stata attribuita l’incapacità tecnica di scrivere dei quesiti referendari ed anche l’accusa di avere preso in giro milioni di persone firmatarie ed elettori».
Amareggiato Marco Perduca, presidente del Comitato cannabis: «Ci hanno trattato da truffatori ed incapaci»; pungente Antonella Soldo dello stesso Comitato: «Da Amato ci saremmo aspettati sobrietà e terzietà, non un tale show». Severissimo Cappato: «Il presidente Amato ha detto cose non vere, oggi si direbbe fake news” in merito ad entrambi i referendum. «Siamo stati accusati di aver barato sui titoli dei quesiti. Qual è l’elemento di occultamento di verità di questa dichiarazione? Il fatto che i quesiti che sarebbero stati posti in votazione al popolo italiano sono scritti non dai comitati promotori ma dalla Corte di Cassazione. Dire che nel quesito si parlava di eutanasia e non di omicidio del consenziente contiene una manipolazione della realtà. Se Amato non gradisce i termini della nostra propaganda politica non ha nulla a che vedere con l’ammissibilità, gli elettori non sono bambini e giudicano sulla base del contenuto del referendum».
In merito alla presunta incapacità tecnica, l’ex europarlamentare ha alzato i toni: «Sorvolando su giuristi e costituzionalisti che si sono espressi favorevolmente sulla ammissibilità dei quesiti su cannabis ed eutanasia, il giudizio nella Corte non è stato unanime, quindi possiamo dire che anche giudici costituzionali hanno ritenuto che questi referendum fossero ammissibili. Allora trattare con tanto disprezzo i comitati promotori è un’accusa critica rivolta non a Cappato ma a dei colleghi giudici della Corte ed alcuni massimi costituzionalisti italiani». Per Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, «la Corte è entrata nel merito dei quesiti ma non era chiamata ad esprimere un giudizio anticipato di costituzionalità della normativa di risulta. Si sarebbe dovuta attenere solo all’art. 75 della Costituzione.
Inoltre l’esempio fatto da Amato relativo all’aiuto offerto a un ragazzo “magari un po’ ubriaco”, che chiede di essere ucciso, non corrisponde al vero. La parte che riguarda le condizioni di deficienza psichica anche temporanea non sarebbe stata cancellata dal referendum. Il consenso non sarebbe stato considerato valido. L’esempio fatto da Amato sarebbe infatti ricaduto nel reato di omicidio doloso». Ad intervenire anche Franco Corleone della Società della Ragione: «Quando ero Sottosegretario alla giustizia, Amato era presidente del Consiglio. Ricordo bene che alla conferenza di Genova del 2000 quando il Ministro della Sanità Veronesi parlò a favore di una legislazione diversa sulla canapa, la risposta del Presidente Amato fu quella di disertare la Conferenza. Quindi il filo delle sue scelte politiche è molto lungo».
Sui dettagli del quesito sulla cannabis si è espresso il deputato Riccardo Magi, presidente di +Europa, che ha definito “sconcertante” la decisione della Consulta. La bocciatura dei quesiti «deriva da un errore tecnico accompagnato da un intento politico – ci ha detto – . Sul quesito riguardante la cannabis al momento non abbiamo neanche 3 righe scritte di spiegazione e su questo c’è una ragione. Se avessimo davanti quelle righe saremmo tutti quanti impegnati a pressare la Corte Costituzionale per avere altre spiegazioni. Il presidente Amato invece ha dovuto mettere in campo tutto il peso della sua autorevolezza e del suo carisma per danneggiare i comitati promotori. Amato ad un certo punto ha comunicato agli italiani tutto il suo stupore perché il referendum cannabis trattava di altre sostanze. Facciamo fatica a credere che né lui né gli altri giudici non abbiano letto il titolo ufficiale dato dalla Cassazione».
Abbiamo chiesto alla Consulta se sarebbe uscita una nota ufficiale relativa al quesito cannabis, come avvenuto per gli altri quesiti (fatta eccezione per gli ultimi due del pacchetto giustizia) ma ci è stato detto che non arriverà, che bastano le parole di Amato per ora e che dobbiamo tutti attendere le motivazioni. Tornando ai tecnicismi del quesito, ha spiegato Magi: «Amato ci imputa un errore nella scrittura del quesito ma noi per depenapelizzare la coltivazione di cannabis non potevamo non intervenire sul comma 1 dell’articolo 73, perché è lì che sono riportate tutte le condotte a cui si richiama il comma 4, la parte nella quale si trova la tabella relativa alla cannabis.
La svista della Corte a nostro giudizio è il fatto che la cannabis è l’unica pianta che è possibile consumare senza il bisogno di trasformazione, raffinazione ed estrazione, tutte condotte che sarebbero restate punite allo stesso modo in cui sono ora. Il quesito referendario avrebbe tolto dal testo unico sugli stupefacenti solo la parola “coltiva” e per questo era da ritenersi riferito solamente alla cannabis”. Cosa accade ora? Lo dice Cappato: «Se i giudizi di inammissibilità sono stati dati sulla base di un errore materiale metteremo in discussione la validità di quel giudizio. Ma dovremo valutare i margini, forse strettissimi per una contestazione formale».