“L’Unione europea è una piccola Cina: bisogna riequilibrare le importazioni e le esportazioni”. Donald Trump non ha mai nascosto la sua indole “isolazionista” da un punto di vista economico. La dichiarazione, infatti, risale a qualche giorno prima delle elezioni e non ha perso tempo a mettere nel mirino l’export della Ue verso gli Stati Uniti.
Il nuovo presidente
Il 47esimo presidente Usa non ha mai fatto mistero dei contrasti con il Vecchio Continente, soprattutto in tema di affari. Già nella sua prima presidenza, Trump firmò ordini operativi che introdussero dazi fino al 30% sui prodotti che l’Europa esporta verso l’America. Per l’Italia finirono nel mirino gli agroalimentari, soprattutto il formaggio. Il motivo di questo atteggiamento quasi prevenuto sta tutto nei numeri. Come si legge nelle statistiche dell’Unione europea, l’interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico si avvicina a una cifra pari a 868 miliardi di euro relativamente ai prodotti; mentre l’interscambio di servizi è pari a 684 miliardi di euro.
L’Europa è il primo mercato di destinazione per il Made in Usa e viceversa. Il problema sta nel deficit della bilancia commerciale. Nel caso dei prodotti, l’Europa esporta 509 miliardi di euro e ne importa 358,5 miliardi. Più equilibrata è la situazione dei servizi. In questo caso l’export europeo è pari a 285,5 miliardi di euro; mentre le importazioni sono a circa 380 miliardi di euro. Il problema americano è che gli Usa hanno una bilancia in deficit sia rispetto a Bruxelles che a Pechino.
Ecco dunque che si comprende meglio il paragone tra Europa e Cina. Per il nuovo inquilino della Casa Bianca sono pari da un punto di vista economico. Non importa se è in corso un dialogo per creare una zona di libero scambio e per favorire una maggiore adesione tra i due mercati più ricchi al mondo. “America First” significa che la bilancia commerciale non può pendere a favore dell’Unione europea.
Dazi per l’Italia
Gli Stati Uniti sono il terzo partner commerciale dell’Italia, dopo Germania e Francia, con un interscambio di 93,1 miliardi di euro nel 2024 (ultimi 12 mesi ad agosto). Nel dettaglio, l’Italia è al primo posto tra i 27 paesi dell’Unione europea per esportazioni negli Stati Uniti per i prodotti della moda con 5,1 miliardi di esportazioni (di cui 2,4 miliardi di euro di abbigliamento, per i prodotti alimentari con 4 miliardi e di mobili con 1,6 miliardi).
Da un’analisi di maggiore dettaglio emerge che l’Italia è il primo esportatore europeo negli Stati Uniti sia per la gioielleria – con 1,6 miliardi di euro di vendite nel mercato Usa – che nell’ambito delle pelli, per le calzature con 1,4 miliardi di euro. Insieme alla Germania, l’Italia è il maggior paese esportatore verso gli Stati Uniti.
Prodotti
Ma quali prodotti potrebbero finire nel mirino? Precisiamo subito che l’Italia sta già pagando pesanti dazi sull’export di alluminio verso gli Stati Uniti: il 41%. A finire nel mirino di Trump sarà di sicuro Airbus, che da anni sconta una guerra commerciale con l’americana Boeing. Ciò potrebbe colpire anche la filiera della componentistica italiana relativa all’Aerospazio. Senza contare l’export di acciaio e della moda.
Il maggior timore, però, è per i produttori agroalimentari italiani. Ricordiamo che nel 2019 Trump impose dazi sui formaggi che causarono enormi danni alla filiera italiana; lo stesso accadde con i vini. Fu poi Biden a rimuoverli parzialmente. Il rischio che la cosa si ripeta è reale. Nel programma del nuovo presidente c’è il raddoppio automatico dei dazi già presenti e l’introduzione di nuovi se dal Vecchio Continente non aumenteranno gli acquisti made in Usa.
Partita a tre
Ciò che l’America sa bene però è che quella dei dazi è una partita pericolosa. Se all’Europa – secondo le stime di Goldman Sachs – le nuove tariffe potrebbero costare un punto di PIL, molto male si potrebbe fare l’economia a stelle e strisce che subirebbe le ritorsioni di Bruxelles.
Il terzo convitato di questa partita globale però è la Cina, che di certo non sta a guardare. L’aumento dei dazi verso l’Europa da parte degli Usa sarebbe la conseguenza dell’inasprimento nei confronti di Pechino che, a sua volta, imporrebbe nuovi dazi. Il World Economic Forum teme che la guerra dei dazi che si potrebbe scatenare nel 2025 porterebbe a un crollo del Prodotto interno lordo globale, a un aumento delle tensioni geopolitiche e a un quadro recessivo per il 2026. A chi converrebbe un simile scenario? A nessuno, tantomeno agli Stati Uniti. Sempre che Trump sia d’accordo.