Le manipolazioni
I deepfake dell’intelligenza artificiale come assist ai messaggi propagandistici: quando la democrazia non riesce a proteggerci
Un paio di giorni fa l’edizione mattutina della CNN e la prima pagina del New York Times hanno aperto con una notizia allarmante: su Tik Tok in Cina spopolano video deepfake – con visualizzazioni a cinque zeri – di donne che, appellandosi a romantiche fantasie o all’orgoglio nazionalista, decantano in perfetto mandarino il loro apprezzamento a Pechino. Una studentessa ucraina, Olga, si è ritrovata il suo volto essere, in centinaia di video, promotore dell’alleanza russo-cinese. Ecco che l’IA diventa strumento complice di falsità e messaggi propagandistici.
Una considerazione. Non viviamo in tempi eccezionali, non è solo oggi l’era della post-verità e delle menzogne. Questo nemico, la disinformazione, da sempre è da fronteggiare. Di certo, con la tecnologia, gli scenari sono man mano diventati sempre più complessi e l’informazione sempre più rapida e diffusa. Ma così come Mao dipingeva nei suoi manifesti contadini felici nel paradiso comunista, omettendo i milioni di assassinati dalle Guardie rosse, così oggi Xi Jinping propaga fake news e deepfake che inneggiano alla Grande Cina.
Così come l’impero russo zarista diffuse un secolo fa i protocolli dei Savi di Sion, documenti falsi il cui unico scopo era quello di spargere nella popolazione l’odio verso gli ebrei, oggi la Russia di Putin alimenta la narrazione che l’Occidente è il nemico da combattere. Potremmo far molti altri esempi, penso a Khamenei, guida spirituale dell’Iran, che sui social fa la morale sui diritti delle donne, che descrive le occidentali come schiave e le iraniane come “indispensabili”, di fatto tralasciando le migliaia di donne che il regime di Teheran violenta, incarcera, uccide perché senza il velo. La disinformazione è l’arma preferita da autocrazie e regimi, uno strumento fondamentale con cui esercitare il potere, con cui acquisire voti e consenso. È un pericolo trasversale che esiste da secoli, forse proprio perché in fondo il controllo del pensiero rimane sempre il più potente motore.
Eppure l’Italia, l’Europa, l’Occidente rimangono oggi capisaldi di libertà nonostante le minacce, le manipolazioni, la propaganda delle potenze revisioniste. Siamo ciò che siamo – una società aperta e libera – grazie a nostri valori occidentali e democratici. Ecco che la risposta politica alla disinformazione, ancor prima di quella pratica, trova qui la sua ragione esistenziale. La difesa di un valore cardine come quello della libertà di espressione è il punto di partenza. C’è chi, nel nome di un illuminato progressismo o del politicamente corretto, dipinge come obsoleti i nostri valori, disturbando il dialogo e il confronto democratico con urla a senso unico.
Ma la forza dell’Occidente è proprio nei suoi principi e da essi bisogna partire per tracciare quelle linee guida per combattere chi inquina le idee con falsità. Oggi la lotta contro la disinformazione – e contro l’uso improprio della tecnologia al fine di condizionare e non informare i cittadini – è sempre più prioritaria perché tocca il nocciolo dei processi decisionali dei nostri sistemi democratici. Processi che vanno protetti, perché alla base della nostra identità, perché uno dei fondamentali elementi che ci contraddistinguono dai Paesi liberticidi.
Se un adolescente sui canali social si imbatte in un deepfake, qual è il compito della democrazia? Proteggerlo. Dirò di più, bisogna lavorare a monte, e vanno in questo senso le misure che la Commissione europea – tra Pacchetto di difesa della democrazia, AI Act e altri – ha chiesto agli Stati membri di implementare. Perché i contenuti fake non siano diffusi ma subito intercettati e bloccati. Perché essere per la libera manifestazione del pensiero non significa certo assecondare la propaganda fasulla di altri. Perché il cittadino libero deve essere libero di credere in ciò che vuole, pur sempre partendo dai fatti, non certo da menzogne diffuse ad hoc.
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