L'opinione
I detenuti siano fatti morire nel proprio letto, con accanto i propri cari
È proprio inimmaginabile che un detenuto, a prescindere dai motivi che lo hanno condannato al carcere, possa morire in casa propria e col conforto dei propri familiari? Oggi pare inimmaginabile. Semmai il nostro sistema prevede limitate e complicatissime ipotesi di differimento della pena quando uno sta molto male e a patto che non sia tra quelli che devono star dentro per forza, per quanto moribondi, perché hanno commesso delitti gravi.
Ma, nell’attesa dell’improbabilissima soppressione del carcere a vita, un provvedimento che per altezza civile e portata simbolica assomiglierebbe molto all’abolizione della pena di morte, della tortura, della schiavitù, del servaggio, insomma all’eradicazione dall’ordinamento delle più barbare forme di sopraffazione che l’uomo tanto facilmente predispone e così difficilmente, e a costo di esperimenti di riforma sempre assai impopolari, riesce a dismettere, sarebbe appunto questo: prevedere il diritto dei detenuti di morire, come si dice, nel proprio letto. Nessuna ragione diversa rispetto al puro accanimento vendicativo impedisce che si approvi questa elementare guarentigia: la possibilità di entrare nella morte fuori dal chiuso di una cella.
Nessuna motivazione diversa rispetto all’inumana assenza anche del più tenue trasalimento di misericordia si oppone a questa piccolissima revoca dell’inflessibilità penale: che l’ultimo sguardo del condannato sia in una camera familiare e verso quello di un parente, di un amico. E tu che mi leggi, qualsiasi cosa tu possa pensare della pena e del carcere, sai perché sarebbe tanto più pericolosa, tanto più oscena, tanto più inaccettabile, questa minuscola riforma rivolta solo a permettere che la persona obbligata vivere in carcere possa almeno non morirci?
Ecco perché: perché la morte del condannato fuori dal carcere racconta l’ingiustizia della vita dentro il carcere; perché la morte in libertà del condannato rimprovera la società che gli ha imprigionato la vita. E peggio per chi non capisce.
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