Fuori i giornalisti parlamentari dal Transatlantico. Per i non addetti ai lavori è un po’ come dire “fuori i pesci dall’acqua”. Poi, la Giunta per il Regolamento troverà un modo più garbato per dirlo. Qualcosa del tipo: «Le misure di sicurezza per limitare il contagio da Covid-19 impongono l’uso del Transatlantico come estensione dell’aula che diventa seggio di votazione. È vietato quindi l’accesso ai signori giornalisti».  Al di là della forma, il risultato non cambia: i cronisti parlamentari saranno costretti, a partire probabilmente già dalla prossima settimana, a rinunciare a quel rito indispensabile per il loro mestiere che è stare fisicamente dove stanno i deputati nelle pause dai lavori dell’aula. Ascoltare, parlare, confrontarsi, intuire un movimento e seguirlo, cogliere una complicità o una diffidenza di troppo tra parlamentari.

L’osservazione del Transatlantico e dei suoi abitanti è pane quotidiano del giornalista parlamentare. Il Parlamento ai tempi del virus è stata – ed è – una lunga sequenza di “prime volte”: le mascherine, i guanti, le Buvette chiuse. Ma tranne un paio di settimane – quelle più dure e disperate in cui non si è visto un deputato e l’Associazione stampa parlamentare ha comunque tenuto aperta e in funzione la sala stampa – non è mai venuto meno il confronto tra giornalisti e deputati. Il problema è far lavorare un’assemblea di 630 persone mantenendo gli spazi. La prima misura adottata, circa un mese fa, è stata il contingentamento: far lavorare l’aula per metà, 315 deputati invece di 630. Non è bastato. Per vari motivi, non ultimo che alcuni gruppi, in modalità sgambetto, hanno provato a sfruttare qualche voto per mandare sotto la maggioranza. Agguati ogni volta respinti.

Il secondo step è stato quello di organizzare circa 150 ulteriori postazioni nelle tribune ospiti-giornalisti-fotografi al quarto piano. Per i giornalisti è stata già quella una prima importante rinuncia: stare in tribuna è l’unico modo per osservare le dinamiche d’aula. Non è bastato neppure questo per problemi di connessione wifi. Il terzo step è quello di utilizzare il principale salone d’onore, il Transatlantico, come luogo dove allestire ulteriori postazioni di voto per i deputati e garantire così la presenza più o meno di tutti i 630 deputati. E quindi i giornalisti non potranno più accedere al Transatlantico. «È una misura certamente inedita – osserva Marco Di Fonzo, presidente della Stampa parlamentare – comprendiamo la necessità delle misure di sicurezza però faremo di tutto per garantire ai giornalisti la necessaria agibilità».

Ad esempio garantire l’accesso al cortile e ai corridoi laterali, spazi normalmente vissuti anche dai deputati. Giorgio Frasca Polara, colonna portante dell’Asp nonché storico portavoce di Nilde Iotti, concorda sul merito – “il Transatlantico diventa un seggio elettorale” – è più scettico sul metodo: «In effetti avrebbero potuto utilizzare altri spazi, l’Auletta dei gruppi o il corridoio parallelo, quello dei Presidenti…». Assai più critica la Velina Rossa, l’indomito Pasquale Laurito: «Mai è stato negato l’accesso ai giornalisti in Transatlantico. Per i nostro mestiere il contatto fisico con il parlamentare è necessario». La Velina Rossa, la quotidiana nota politica di Pasquale Laurito, nasce tutte le mattine così. Stefano Ceccanti, costituzionalista, deputato Pd, scrolla la testa. Da due mesi lui e Riccardo Magi (+Europa) indicano “la via inglese”: il voto a distanza. Ora fa male vedere un divieto dietro l’altro, «il dogma assurdo, non sancito da alcun Concilio, per cui la Rappresentanza per manifestarsi deve per forza stare nello stesso luogo fisico».

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.