Esteri
I giovani iraniani in rivolta contro Hamas, le proteste vanno oltre il motto ‘Donna, Vita, Libertà’
Quel che spinge i giovani del movimento “Donna, Vita, Libertà” a schierarsi per Israele è la comune condizione di oppressione.
I giovani in Iran stanno da diversi anni lanciando messaggi dirompenti in aperta contraddizione con la retorica anti americana, anti israeliana e anti occidentale, imposta sin dalla sua nascita dal regime iraniano degli ayatollah. Lo stesso movimento “Donna, Vita, Libertà”, appena insignito dal Parlamento europeo del prestigioso premio Sakharov per i diritti umani, si manifesta a favore di Israele nel suo conflitto contro Hamas.
Perfino al funerale di Dariush Mehrjui, considerato il padre della cinematografia moderna in Iran, brutalmente accoltellato nella propria abitazione assieme a sua moglie, i giovani manifestanti anti regime hanno espresso la loro ferma condanna nei confronti di Hamas e di tutte le altre organizzazioni fondamentaliste filopalestinesi, perché considerate eterodirette dalla Repubblica islamica dell’Iran e dai pasdaran.
Al funerale del padre della cinematografia iraniana, il dissidente Dariush Mehrjui, la nota scrittrice e regista, Marzied Boroumand, è stata letteralmente sommersa dai fischi delle centinaia di partecipanti accorsi a rendere omaggio all’ottantaquattrenne regista assassinato per ordine dei Guardiani della rivoluzione. Boroumand, direttrice del Khaneh Cinema, la più grande associazione di registi e attori in Iran, legata ai pasdaran, era stata inviata al funerale affinché pronunciasse un discorso a sostegno del regime e con un invito ai presenti a manifestare contro Israele e il sionismo. Non aveva finito nemmeno di pronunciare queste parole quando è stata sommersa da una salva di fischi e dal grido: “No per Gaza, no per il Libano [Hezbollah], la mia vita è solo per l’Iran”. Questo non è un caso isolato.
In questi giorni, le forze paramilitari basij, i miliziani al servizio dei Guardiani della rivoluzione islamica (IRGC) che hanno il compito di affiancare le forze dell’ordine nelle operazioni di repressione delle proteste, hanno fatto irruzione nelle scuole di ogni ordine e grado e hanno radunato gli studenti e le studentesse distribuendo loro bandiere della Palestina e costringendoli a manifestare il loro odio contro Israele.
In un video diventato virale in rete si vedono ragazzini radunati nel cortile di una scuola media con le bandiere della Palestina che al grido dei basij, “Morte a Israele”, rispondevano: “Morte alla Palestina”.
In Iran i giovani non intendono per nulla manifestare a sostegno di Gaza, perché sanno che è dominata da Hamas. Ragazzi universitari e delle scuole medie, gridano nelle strade: “Sepahi [pasdaran], basiji, Hamas, siete voi il nostro Isis” e ancora: “Sepahi, Basiji, Hamas, siete mostri”.
Per 44 anni il regime iraniano ha cercato di fare il lavaggio del cervello alla popolazione. Ha indottrinato i bambini fin dalla più tenera età, instillando l’odio per l’occidente, per l’America, per Israele e per gli ebrei. Li hanno costretti, sin dalle scuole elementari, a bruciare la bandiera statunitense e quella della stella di Davide, ma ora gli iraniani e le iraniane gridano nelle strade di tutti i maggiori centri urbani: “Il nostro regime islamico è come l’Isis è come Hamas e per questo deve essere abbattuto”. I giovani in Iran sanno bene cosa sia e cosa faccia la Repubblica islamica; sanno che il regime sta conducendo una guerra per procura per distruggere Israele.
Quel che spinge i giovani del movimento “Donna, Vita, Libertà” a schierarsi per Israele è la comune condizione di oppressione. Sia gli iraniani che i palestinesi sono ostaggi di regimi e organizzazioni dispotiche e fanatiche. I giovani rivoluzionari in Iran sono consapevoli che il loro paese è oppresso dai mullah e dai mercenari di Khamenei, cioè i pasdaran, onnipotente e corrotto braccio armato che amministra ampia parte dell’industria militare, della finanza e dell’energia iraniana e che è direttamente coinvolto, da sempre, nelle attività terroristiche contro Israele in Siria, in Libano e in Iraq. I palestinesi a loro volta sono ostaggio di Hamas, organizzazione fondamentalista-terroristica nata nel 1987, nutrita e addestrata dalla Repubblica islamica che vuole affermare la sua egemonia nel mondo musulmano, dopo aver perso molto del suo prestigio, in particolare in questi ultimi anni, e vede negli Accordi di Abramo un grande ostacolo per il suo progetto egemonico. Tehran si serve, per questo suo obiettivo, di organizzazioni fondamentaliste tutte accomunate dall’odio verso Israele, accusato di essersi appropriato di “terre musulmane”.
Questi slogan gridati nelle piazze sono anche una manifestazione di rifiuto della politica estera del paese considerata oltretutto follemente espansionista dannosa e dispendiosa, una politica estera che non ha portato alcun beneficio economico e ciò costituisce un problema molto discusso all’interno dell’Iran. I loro slogan evocano quelli delle manifestazioni del 2017 quando i giovani gridavano: “Esci dalla Siria, pensa a noi!”. Nel 2019, si ascoltavano slogan come questo: “Mancano i soldi del petrolio. Tutto è stato speso per la Palestina”. Mentre ora, a partire dal 2022, lo slogan che mette sotto accusa questa politica estera è certamente questo: “Basiji, maledetti, siete voi il nostro Isis”. L’allusione è alla presenza dei pasdaran in Siria, Iraq, Libano e Yemen.
Le proteste, dunque, vanno oltre il motto “Donna, Vita, Libertà, e vanno lette anche secondo questa lente di politica estera. Si comprende quindi che ci troviamo di fronte a un movimento spontaneo che chiede un nuovo sistema e la deislamizzazione delle istituzioni e dunque la fine della Repubblica islamica. Se si ascoltano bene gli slogan che la gente grida per strada appare molto chiaro che i manifestanti vogliono rovesciare il regime e dicono di non volere più alcun leader supremo e alcun tipo di regime, quale che esso sia, islamico o non.
È sorto un vero e proprio “moto rivoluzionario” e le proteste contro l’hijab vanno guardate anche da questo angolo visuale. I giovani non chiedono semplici riforme. Le donne escono senza velo dalle loro case consapevoli di correre il rischio di essere ammazzate. La loro lotta a mani nude è la dimostrazione di un coraggio inedito e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici del paese.
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