Gabriel Attal, 34 anni, è il nuovo primo ministro di Francia. Tra i ministri più popolari e amati, Macron ha scelto lui per ridare slancio a un governo del Paese che stentava a muovere passi decisi e a scuotere l’albero di una società francese a cui il Presidente vuole radicalmente cambiare volto. Una nomina che avviene dopo un altro gesto importante di ricambio generazionale nella politica francese, con il giovane Bardella, ventottenne (coetaneo del sottoscritto), arrivato alla guida del Rassemblement National di Marine Le Pen nel 2022: pensare che la sfida per la Presidenza USA sarà probabilmente fra un settantenne e un ottantenne fa un po’ specie. Scelte casuali o correlate fra i 2 principali partiti del sistema politico francese? Possiamo leggerci sicuramente una rincorsa allo svecchiamento della classe politica, in un sistema dove le classi dirigenti dei partiti tradizionali diventano sempre più residuali, forse perché quelle culture politiche e i relativi dirigenti hanno già dato quello che avevano da dare e non hanno lenti adatte a leggere il presente e il futuro? Può darsi, ma una cosa è certa: il giovanilismo in quanto tale non è la soluzione. Essere giovani non è sinonimo di essere politici all’altezza. È forse però giunto il momento di dire che, se non è sufficiente, è una precondizione il fatto che i partiti e le istituzioni devono avere una rappresentanza congrua di under 35 per poter metter in pratica un nuovo modo di far politica, capace di interpretare il sentire comune e far riavvicinare gli sfiduciati alla politica?

Giovani leader politici potrebbero portare una maggiore rappresentatività e diversità nella classe dirigente, aiutando a ridurre la polarizzazione, portando prospettive nuove e soluzioni innovative, superando le divisioni tradizionali che impediscono di andare al cuore dei problemi e mantengono uno scontro ideologico. I giovani politici sarebbero più abili nel comunicare con le nuove generazioni attraverso piattaforme e linguaggi che hanno maggior assonanza con i giovani, incoraggiando la partecipazione politica di quest’ultimi. Ciò potrebbe ridurre l’apatia politica, coinvolgendo un pubblico più ampio e diversificato. Nuovi leader potrebbero introdurre cambiamenti nelle pratiche politiche, adottando un approccio più aperto, trasparente e collaborativo, perché banalmente con minor anzianità politica e maggior disponibilità a mettersi in discussione. Ciò contribuirebbe a rigenerare la fiducia nelle istituzioni, dimostrando che la politica può essere più responsabile e aperta al confronto con i cittadini, non solo nel momento elettorale, diventando più inclini a praticare un ascolto attivo e a coinvolgere i cittadini nelle decisioni politiche in maniera partecipata. Questo potrebbe ridurre la sensazione di estraneità e aumentare la fiducia nella politica come strumento di cambiamento positivo. Classi dirigenti rinnovate sarebbero forse più propense a sperimentare politiche innovative e ad affrontare le sfide emergenti in modo più dinamico: dal clima, alle questioni geopolitiche, passando dalla digitalizzazione e fino alle nuove sfide di sostenibilità sociale ed economica. Questo potrebbe generare un maggior senso di efficacia tra i cittadini, riducendo l’indifferenza politica.

Il ringiovanimento della classe politica da solo ovviamente non è sufficiente a risolvere completamente questi problemi. È necessario affiancare a questo processo importanti riforme istituzionali, ma una cosa è certa: nei momenti di rottura, tra il mondo di prima e quello di domani, l’iniezione di un marcato ricambio generale nelle classi dirigenti è stato un evento inevitabile. Qualche avvisaglia di questo nuovo mondo che scalpita si intravede in Francia, ma, facendo un salto intracontinentale, anche nella nostra Sicilia, dove un consigliere comunale e una deputata dell’Assemblea Regionale Siciliana, rispettivamente Federico Bennardo e l’Onorevole Martina Ardizzone, sono al lavoro per un disegno di legge che preveda l’inclusione dei giovani nelle giunte comunali siciliane.

Il provvedimento, a suo modo rivoluzionario e che potrebbe ben presto divenire una best practice, si prefigge un obiettivo semplice, tanto simbolico quanto dirompente: prevedere per legge nei Comuni superiori a 15mila abitanti, una “quota giovani” che obblighi il sindaco a nominare in giunta almeno un componente sotto i 35 anni di età. A detta dei protagonisti, la norma vuole essere solo l’inizio di una serie di provvedimenti volti ad una maggiore tutela e promozione della rappresenta politica giovanile. Basterà? Magari no, ma i giovani, da Parigi a Palermo iniziano a entrare a gamba tesa in un dibattito pubblico che per troppo tempo li ha definiti, universalmente, come “generazioni perdute”: sarà finalmente giunto il momento, in una fase storica di così rapidi cambiamenti, di dare loro una parte della responsabilità di disegnare il futuro della nostra società? Come diceva il poeta: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna