Il tribunale di sorveglianza di Roma ha deciso che Raffaele Cutolo, ex boss della camorra, deve andare a morte. La sua vita deve finire nella brandina di una cella in regime di carcere duro. Siamo nel 2020, sembra il medioevo. Raffaele Cutolo è un signore di 80 anni, in pessime condizioni di salute e con fortissimi problemi cognitivi, ha passato in prigione 57 anni della propria esistenza (e poco più di venti ne ha trascorsi in libertà, tra i quali i primi 18, quelli della scuola) ed è stato il fondatore di un’associazione camorristica che non esiste più da circa 40 anni. Si muove con gran difficoltà, ha notevoli problemi di attenzione e la memoria corta sta svanendo. Di questo i magistrati hanno preso atto, e sulla loro ordinanza, nella quale rigettano la richiesta degli avvocati quantomeno di sospendere il 41 bis, hanno copiato il parere drammatico del medico che ha svolto la perizia su Cutolo.
Poi hanno concluso: no, Cutolo forse ha problemi fisici e intellettivi ma qualcosa capisce e dunque, se interrompessimo il regime di isolamento e il carcere duro, c’è il rischio che lui riesca a mettersi in contatto coi suoi vecchi compagni d’arme (quasi tutti, o forse tutti, morti o in carcere da anni) e a riorganizzare il gruppo camorristico. Potrebbe mettere su una banda, magari piccolina, composta da quattro o cinque ultranovantenni, un po’ rincoglioniti ma molto esperti. Questo disegno va fermato, hanno pensato i giudici. Quindi, istanza rigettata e 41 bis, cioè carcere duro, confermato. I magistrati romani hanno anche preso in considerazione la sentenza della Corte europea che condannò l’Italia per aver tenuto in prigione, moribondo, il capo della mafia Bernardo Provenzano, ma hanno ragionato sul fatto che Provenzano era in coma e Cutolo no. E dunque le condizioni di Provenzano non possono essere accostate a quelle di Cutolo e la sentenza della Corte europea non può valere per lui.
Il tribunale che ha preso questa decisione precisa, nell’ordinanza, di non essere chiamato a decidere sulle condizioni di salute del detenuto, e dunque sulla compatibilità tra le sue condizioni e il carcere. Questa è una valutazione che spetta al tribunale di sorveglianza della città dove Cutolo oggi è in carcere (quindi Parma). Il tribunale di sorveglianza di Roma deve solo stabilire se Cutolo è ancora pericoloso o no. E ha stabilito che un vecchio traballante, praticamente privo di memoria breve, con forti problemi cognitivi, con quello che i medici definiscono “un disturbo neurocognitivo maggiore”, affetto da diverse malattie cardiocircolatorie, dal diabete e da altri disturbi, ha tutte le carte in regola per uscire di prigione, o almeno per uscire dal regime di isolamento nel quale vive, murato vivo, dal 1992, e mettere a ferro e fuoco Napoli, o forse tutta la Campania. Come può succedere che dei magistrati scrivano una ordinanza di questo genere? Le spiegazioni possibili sono solo due.
La prima si riassume in una parola: Burocrazia. Del resto è impossibile non notare che nella prima pagina dell’ordinanza, è stampata la seguente scheda: Detenuto: Raffaele Cutolo/pena da espiare: ERGASTOLO/scadenza della pena: MAI (concessi giorni 1035 di anticipazione anticipata). C’è scritto esattamente così. Cioè, alla lettera, Cutolo dovrà essere liberato 1035 giorni prima della propria morte, però non si sa ancora chi potrà stabilire con almeno tre anni di anticipo la data della sua morte…
La seconda spiegazione sta nel clima di forca che si è creato ormai da molto tempo nel paese. La furiosa campagna di stampa condotta dai giornali contro i tribunali di sorveglianza che mesi fa liberarono alcuni detenuti in cattive condizioni di salute, ha avuto il suo effetto. Oggi i tribunali di sorveglianza sono terrorizzati e non si azzardano a prendere provvedimenti che rientrino nell’ambito della civiltà giuridica.