I limiti di Bayrou, Yves Mény: “Temo un clamoroso fallimento. Gli ostacoli sono ovunque. Le dimissioni di Macron? Improbabili”

«Il centrismo di Bayrou può permettergli di navigare senza fare molto, ma temo che il suo passaggio a Palazzo Matignon sarà un clamoroso fallimento». L’accademico francese Yves Mény, dal 2014 al 2018 presidente del Consiglio di amministrazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e autore di diversi saggi di approfondimento politico – tra cui Sulla legittimità. Credenze, ubbidienza, resistenze (2024), Le vie della democrazia (2024), Ariele (2022) e Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico (2019), pubblicati in Italia da Il Mulino – si interroga sulle potenzialità e sui limiti del nuovo governo di François Bayrou.

Professor Mény, Macron punta su Bayrou. Pensa che sia una buona scelta?
«Bayrou non è stata la prima scelta di Macron, anche se sono alleati dal 2017. Ha sempre adottato posizioni intermedie, il che gli ha precluso di giocare un ruolo decisivo in una Quinta Repubblica polarizzata tra due campi: quello della maggioranza e quello dell’opposizione. Ha sempre sostenuto la destra al potere, ma con molte riserve e addirittura senza chiedere di votare per Sarkozy al secondo turno delle elezioni del 2012. Hollande è stato eletto e Sarkozy, dopo la sua sconfitta, ha nutrito un odio tenace nei suoi confronti».

Potrebbero esserci tensioni tra il presidente e il nuovo primo ministro?
«Bayrou si è apparentemente imposto a Macron, che non aveva alcuna intenzione di nominarlo primo ministro. Se questa tesi che circola sui media è corretta, ciò è possibile solo grazie al ricatto di Bayrou: “Se non scegliete me, voterò contro il governo”. Macron non aveva scelta, ma questo significa che il nuovo governo nasce sotto cattivi auspici, bloccato tra il presidente della Repubblica e un Parlamento dove non ha la maggioranza assoluta. Si tratterebbe di una doppia convivenza: tra presidente e primo ministro e tra governo e Parlamento. Rischiamo di oscillare tra la paralisi e il fallimento a breve termine».

Nel suo discorso inaugurale, Bayrou ha parlato di “Himalaya di difficoltà”…
«Bayrou non è fatto per la scalata. Non si è mai distinto per la sua capacità di fissare una linea politica precisa o di affrontare di petto le difficoltà. È un po’ come l’abile Ulisse dell’Odissea che naviga tra Scilla e Cariddi. È un uomo votato alla navigazione a vista, non certo un alpinista stile Barnier».

Titoli di Stato francesi assimilati a quelli greci. Quanto costerà la crisi ai cittadini?
«La crisi sta già costando caro ai francesi, ma loro stanno esacerbando una crisi economica e finanziaria che – di per sé – non è così drammatica come sembra apparire. La crescita francese è inferiore a quella spagnola ma superiore a quella italiana e, soprattutto, a quella tedesca. La Francia è indebitata ma meno dell’Italia. Tuttavia la mancanza di stabilità politica e il blocco delle riforme preoccupano i mercati finanziari. La fiducia è diventata una merce rara e tutto ne risente. Non scorgiamo purtroppo alcun fattore che, a breve termine, possa ridare fiducia ai francesi. Il sistema è bloccato fino a settembre (difficile organizzare elezioni a fine luglio o inizio agosto) e, forse, fino alla fine del mandato di Macron nel 2027».

Teme che Le Pen o La France Insoumise possano rappresentare ostacoli per il nuovo governo?
«Gli ostacoli sono ovunque. I partiti che dovrebbero appoggiare il nuovo governo lo sosterranno come la corda sostiene l’impiccato. A parte Bayrou, nessuno è veramente soddisfatto di questa nomina. Le Pen afferma di voler dare una possibilità a Bayrou, ma allo stesso tempo dichiara che Macron è finito e che dobbiamo prepararci per elezioni presidenziali anticipate. Mentre Mélenchon usa l’artiglieria pesante, lei distilla sottilmente il veleno di una crisi inevitabile al fine di costringere il presidente a dimettersi».

Prevede le possibili dimissioni da parte di Macron?
«Le dimissioni di Macron sono in linea di principio improbabili, a meno che la crisi non prenda una svolta imprevista. Vi sono diverse ragioni. Innanzitutto per motivi personali: Macron non è uomo che si arrende. È più propenso allo scontro, al combattimento diretto e alla difesa con le unghie e con i denti delle sue prerogative. Trovano spazio anche ragioni istituzionali. Le dimissioni presidenziali – lungi dal risolvere la crisi – andrebbero piuttosto a esacerbarla. Ne seguirebbe una crisi di regime, che si aggiungerebbe alla crisi politica, economica e finanziaria».

Come giudica il breve governo di Michel Barnier?
«La maggioranza dei francesi auspica il ritorno della calma dopo la tempesta. Sebbene in minoranza nell’Assemblea, Barnier era riuscito a convincere mezza Francia. La sinistra governativa, tuttavia, ha rifiutato qualsiasi compromesso per garantire un minimo di stabilità e il ritorno della fiducia. I francesi sono attualmente sconvolti da una situazione che li esaspera e alla quale non sono abituati. Si trovano oggi nella situazione rappresentata in un film libanese dopo la guerra civile, il cui titolo era: “E adesso, dove andiamo?”».