Il caso
I magistrati fuori ruolo e il vulnus all’imparzialità: quel meccanismo delle porte girevoli lontano dai radar del Csm
Quali sono oggi gli incarichi che un magistrato può ricoprire lontano dalle aule di giustizia? E, soprattutto, quali compiti può svolgere all’interno della Pubblica amministrazione grazie alle sue competenze?
Sono domande molto banali a cui, però, nessuno fino ad oggi è stato in grado di dare una risposta chiara e puntuale. La recente riforma dell’Ordinamento giudiziario, voluta dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia, particolarmente attesa, si è ben guardata dall’affrontare l’argomento, limitandosi ad alcune generiche indicazioni di principio.
La circostanza è emersa questa settimana durante la discussione al Consiglio superiore della magistratura sul parere (poi approvato con 8 astenuti) richiesto dal Guardasigilli Nordio proprio sulla riforma in questione. Trattandosi di una riforma tramite legge delega ed essendo terminata la legislatura prima del tempo, il compito di darne attuazione è toccato al governo Meloni. Nordio aveva nominato quindi una Commissione ministeriale per scrivere le norme. E questa Commissione era così composta: 18 magistrati (di cui 10 fuori ruolo), 5 professori, 3 avvocati. Il risultato è stato che, a parte l’indicazione di aspetti di massima, come l’anzianità di servizio per poter essere collocati fuori ruolo (dieci) o la durata massima dell’incarico (sette), resta un mistero cosa possa fare un vincitore di concorso nella pubblica amministrazione per il quale era necessario il possesso della laurea in giurisprudenza.
La visione completa dell’incarico
Eppure il tema dei fuori ruolo per anni ha occupato il dibattito pubblico, sollevando molte perplessità. È opportuno, ad esempio, che negli uffici legislativi dei Ministeri per scrivere le leggi ci siano magistrati che poi un domani saranno chiamati ad applicarle? “Nessuno oggi ha una visione completa di questi incarichi fuori ruolo. E nessuno ha il controllo della situazione”, ha stigmatizzato la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano, chiedendo al Csm di procedere ad una ricognizione dell’esistente e di prevedere procedure autorizzative effettivamente trasparenti. Chi viene collocato fuori ruolo, infatti, non deve nemmeno presentare il proprio curriculum al Csm, a cui spetta il compito di autorizzarlo, in modo che possa verificare se sia la persona giusta o meno per l’incarico per il quale è stato proposto.
L’unico limite
Al momento l’unico paletto è che gli incarichi fuori ruolo devono comportare un “arricchimento” della funzione giudiziaria in modo tale che la magistratura ne abbia poi un beneficio. Stop. Una volta collocato fuori ruolo, il magistrato sparisce anche dai radar del Csm. Non esistono ad oggi procedure codificate per giudicarne l’operato ai fini della valutazione di professionalità. Se un giudice per essere valutato positivamente non deve avere ritardi nel deposito delle sentenze, come si valuta un magistrato che si trova presso l’ufficio legislativo del ministero della Giustizia? Mistero.
Il commento di Andrea Mirenda
“La politica non ha voluto toccare i fuori ruolo e porre fine a questo meccanismo di porte girevoli”, ha ricordato il togato indipendente Andrea Mirenda. Il fuori ruolo, per Mirenda, crea un “vulnus all’imparzialità del magistrato che va a ricoprire incarichi di natura prettamente politica, come ad esempio quello di capo di gabinetto di un ministro”. “E questo fa pugni con il principio della separazione dei poteri ed è fonte di disagio per la terzietà del magistrato stesso”, ha aggiunto Mirenda. Infine c’è la questione delle capacità: ci sono magistrati che ricoprono incarichi di tipo prettamente amministrativo che potrebbero essere ricoperti da un normale dirigente pubblico. Anni addietro fece molto discutere la nomina di un giudice a capo dell’Ispettorato del lavoro, un ruolo che in passato era addirittura stato affidato ad un generale dei carabinieri.
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