I Maneskin cantano ‘Elvis’, a Cannes lo show non dorme mai: al Majestic si assegna la Palma…

Chiedi chi era Elvis Presley. La risposta è di Baz Luhrmann, che porta a Cannes fuori concorso un filmone griffato Warner, lungo 159 minuti e dal titolo inequivocabile: Elvis. È vero, poteva trattarsi di Costello. Ma si parla del re del rock’n’roll. Insieme a Marylin, la più grande icona dello spettacolo statunitense del Novecento. Perché la popolarità di Presley non cozzasse con quella del suo interprete, per il ruolo Luhrmann ha scelto un signor nessuno, il 30enne Austin Butler, pronto a diventare qualcuno. E gli ha affiancato il due volte premio Oscar Tom Hanks che, passato parecchio tempo da Forrest Gump, ripercorre ancora decenni cruciali di storia americana, stavolta nei poco edificanti panni del Colonnello Tom Parker. Figura complessa, leggendario manager del cantante. E’ di Parker/Hanks la voce narrante, il punto di vista sulle vicende raccontate. Il film è in uscita a giugno (il 22 in Italia, il 24 in USA), al Festival c’è il battesimo mondiale.

La Croisette non dispiace al regista australiano Luhrmann, che ci torna per la quarta volta dopo il debutto con ‘Ballroom’ a Un Certain Regard, il concorso con la Kidman star del Moulin Rouge!, l’apertura di festival con Leo Di Caprio Grande Gatsby. Anche Austin Butler è un habitué. Nel 2019 fece doppietta, ma non se ne era accorto nessuno. In gara sia con ‘C’era una volta a… Hollywood’ di Quentin Tarantino sia con ‘I morti non muoiono’ di Jim Jarmusch. Tre anni fa, di questi tempi festivalieri, Butler era costretto a seguire a distanza la scia luminosa delle stelle Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Adam Driver, Bill Murray. Ora il divo è lui. Le cose cambiano. Vediamo se dura, la stoffa c’è…

Ovvio che la colonna sonora sia per Elvis un punto di forza. Il brano If I Can Dream – con riferimento a Martin Luther King e al suo celeberrimo discorso pronunciato a Washington, nel 1963 – è affidato alla esecuzione dei Måneskin. Anche in questo caso i ragazzi dimostrano di saperci fare. I quattro arrivano in Costa Azzurra in pompa magna, dettano la legge del look e dello spettacolo sulla montée des marches più attesa, sono pronti al festone notturno che è il sogno di qualsiasi non invitato al party evento organizzato dalla Warner. Si beccano anche gli elogi di Austin Butler. Il novello Elvis dice di esserne fan. Intanto, per il momento, i musicisti romani sono più famosi di lui. A quando un film su di loro?

Tornando alla gara. La palma è cresciuta a Cannes, rapidamente in questi giorni. In ordine di apparizione, sugli incantevoli schermi della Croisette, Holy Spider di Ali Abbasi, Les Amandiers di Valeria Bruni Tedeschi, Crimes of the Future di David Cronenberg potrebbero giocarsi il premo maggiore di questa 75esima edizione.

Il Festival è anche altro. E il cronista curioso si spinge a ora tarda al Majestic, non perché abbia sete o necessità di rimanere sveglio (acqua + caffè si pagano sedici euro). Il Grand Hotel è centro nevralgico della kermesse francese, come l’Excelsior – più sobrio – lo è della Mostra di Venezia. Si incontra di tutto. Mise favolose e altre discutibili, in entrambi i casi le signore tendono allo sberluccichio o all’effetto nuvola. Il maschio vanesio, con pantaloni a fiori, si aggiusta il ciuffo allo specchio in corridoio. Il presidente di giuria Vincent Lindon appare molto allegro, appena terminata la cena. Ad avergli chiesto in quel momento “a chi la Palma?”, forse avrebbe risposto.