La grancassa mediatica del pacifismo si schianta contro lo scoglio del realismo. Uno squillo sguaiato e stonato di una trombetta rotta. La degna conclusione di uno pseudo-pacifismo di facciata. La mobilitazione del fronte pacifista italiano alle urne? Neanche l’ombra. Alla faccia di quella presunta maggioranza silenziosa di italiani contraria all’invio di armi per sostenere la resistenza dell’Ucraina. Le elezioni europee nel nostro paese restituiscono un’altra fotografia: viene premiato lo schieramento al fianco di Kiev, mentre non sfonda (anzi, non avanza nemmeno) la galassia delle bandiere arcobaleno che vorrebbe privare il popolo ucraino del supporto militare contro l’invasione della Russia.

Il primato non può che andare di diritto a Giuseppe Conte. Il fu avvocato del popolo (ormai senza neanche più tanto popolo) riesce nell’impresa di far sperare Forza Italia – per qualche ora – nel sorpasso. I grillini portano a casa, a stento, circa il 10%. Un risultato che stona con la convinzione ostentata perennemente da Conte davanti alle telecamere. L’armata pacifista si sarebbe dovuta recare in massa ai seggi contro l’asse euroatlantico che, stando alle formidabili tesi pentastellate, nel giro di qualche mese ci porterà alla Terza guerra mondiale. Davvero un gran peccato per Conte, che aveva provato a catalizzare le preferenze arcobaleno inserendo l’hashtag #pace nel simbolo del M5S. Che dire? Esperimento fallito. Una disfatta <dopo i catastrofismi pronunciati a squarciagola nei vari collegamenti tv. Tanto rumore per nulla. Anzi, tanto rumore per poi sprofondare. E gliene va dato atto. Non era facile. Ma ci è riuscito.

E che dire di Marco Tarquinio? Il superfluo, che non registra il boom. Con una mossa astuta il Partito democratico ha provato a metterlo in lista per cercare di raccattare qualche preferenza in più. Anche in questo caso i risultati sono inequivocabili: l’ex direttore di Avvenire supera di pochissimo le 40mila preferenze. Un successone, un tripudio. Con tanto di corsa all’ultimo voto e relativo affanno per strappare o meno un seggio a Bruxelles. In un Pd trainato dagli amministratori locali (riformisti), il profilo pacifista di punta riscuote un vero successone. Altro che la Nato: a essere sciolta forse dovrebbe essere quella fetta dem che pensava di vantare chissà quale valanga di voti con una candidatura di facciata.

Non si può non menzionare Michele Santoro. A spoglio ancora in corso, la lista Pace, Terra, Dignità non va oltre il 2,2%. Poco più di 500mila preferenze. Ma bisogna essere magnanimi e armarsi (anzi, meglio usare la parola «dotarsi» per evitare di essere accusati di voler scatenare un conflitto mondiale) di onestà intellettuale. L’ex conduttore merita il podio al fianco di Conte per aver centrato un’impresa tutt’altro che scontata: la sua lista prende meno voti di Roberto Vannacci. Santoro meriterebbe una standing ovation.
L’unica vera sorpresa è rappresentata dall’Alleanza Verdi-Sinistra, di poco al di sotto del 7%. Bel colpo quello di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Ai rossoverdi va la medaglia per essere riusciti ad attirare in misura più forte i voti dei pacifisti (sempre pseudo, sia chiaro). E, perché no, anche di qualche manifestante pro-Palestina che accusa Israele di genocidio. Ma questa sarebbe la potenza di fuoco pacifista? Me cojoni…

C’è chi pagherebbe oro per vedere la faccia di Alessandro Di Battista. L’ex grillino di ferro che ogni settimana, dagli studi di DiMartedì su La7, propina lezioni di pacifismo a destra e a manca. Contro quei cattivoni e pericolosi che osano alimentare la resistenza del popolo ucraino per tentare di respingere l’assalto della Russia di Vladimir Putin. Anche Di Battista, da buone origini 5 Stelle, era convinto di rappresentare la causa di un folto schieramento pacifista. È stato uno sponsor formidabile per far schiantare quella cordata che impugna bandiere e s’impegna a urlare slogan generici di pace. Son bravi tutti. Soprattutto Dibba.

In Italia è robusto il fronte a sostegno dell’Ucraina. Il centrodestra cresce in termini percentuali rispetto alle elezioni politiche del 2022. Compresa la Lega che, al di là dei proclami di Matteo Salvini a ridosso del voto, non ha fatto mancare il via libera all’invio di armi a Kiev. Risultato assai positivo per il Pd che, sebbene diviso con varie sfumature al suo interno, vede i suoi principali esponenti sposare il supporto militare al popolo ucraino.
Ma come? Non doveva esserci un sussulto d’orgoglio? L’immenso esercito di benefattori pacifisti ha preferito restare a casa? O magari l’ammucchiata contro le armi all’Ucraina era solo una fantomatica congettura di chi – lavorando di fantasia e di immaginazione – voleva concedersi il gusto di un orgasmo per qualche secondo.
Ai pacifisti nostrani non resta che smontare il circo mediatico, mettere nel cassetto le trombette sgangherate e alzare bandiera bianca. Magari con una resa. Anche incondizionata. Applicando lo stesso ragionamento del blocco arcobaleno. Siano coerenti. La messa(inscena) è finita. Andate in pace.