La casta delle toghe contro la ministra
I Pm minacciano la Cartabia: stia attenta o fa la fine di Berlusconi e Biondi
Un bel lavoro a tenaglia, complimenti alla Casta in toga. In audizione mirata in Parlamento, chiamati a dar man forte ai grillini e a sparare sulla riforma Cartabia, due carichi da novanta come il procuratore nazionale “antimafia” De Raho e quello di Catanzaro Nicola Gratteri. A Napoli una sorta di agguato organizzato di persona alla ministra con un bel combinato disposto del presidente di corte d’appello Giuseppe De Carolis e il procuratore generale Luigi Riello. Tutti in coro, non a dire quel che ci si sarebbe aspettato e sarebbe stato doveroso da parte di alti magistrati che rappresentano al massimo livello l’Ordine giudiziario. E cioè che si sarebbero impegnati al massimo delle proprie forze per applicare la legge voluta dal Governo e dal Parlamento, cioè dai due poteri dello Stato.
Invece no, perché non esiste in Italia una Casta agguerrita, rumorosa e mediatica quanto quella dei pubblici ministeri, cui si aggiunge ogni tanto qualche giudice. Facce di bronzo, vien da dire ogni tanto. Sanno come colpire, e soprattutto quando. Quando sono accesi i riflettori. E sanno anche con quale arma colpire. Non con la critica, quella non fa neanche il solletico. Pensate se un procuratore Gratteri, per esempio, si limitasse a dire al governo, va bene la riforma (come ha detto per esempio, vera mosca bianca, l’ex procuratore di Torino Armando Spataro), sperimentiamo, però mandateci più magistrati e più cancellieri, così potremo dare il meglio. La guardasigilli avrebbe potuto subito rispondere, per esempio, che avrebbe immediatamente sottratto ai vari ministeri cinquanta dei 200 magistrati fuori ruolo e li avrebbe immediatamente mandati in Calabria. E altrettanti a Napoli. Visto che Reggio e Napoli, insieme a Roma, sono i distretti che non riescono a celebrare in tempi certi i processi. Invece no, la critica non fa neanche il solletico. E soprattutto non porta in televisione chi la fa. Ma si catturano le telecamere se si sostiene che con la riforma diventa conveniente delinquere. Un po’ come quando Piercamillo Davigo cercava di dimostrare che con le nostre leggi è più conveniente uccidere la moglie che avviare la pratica di divorzio.
Ho sette maxiprocessi in corso, lamenta il dottor Gratteri. Ma si è accorto che con il sistema accusatorio introdotto dalla riforma del processo penale del 1989, i maxi non dovrebbero neanche esistere, insieme ai reati associativi che sono il loro collante, la loro unica ragion d’essere? Quel che è successo ieri tra questi alti magistrati, e che ha la propria immagine speculare in Parlamento e tra le forze politiche, sembra il nuovo cavallo di troia che fa tornare alla memoria l’elenco dei ministri di giustizia annientati dalle toghe. O resi supini. O conniventi, come il penultimo. È il turno di Marta Cartabia. Non si illuda, signora guardasigilli, l’ampia maggioranza parlamentare di cui gode il governo Draghi, sulla giustizia si può frantumare, sbriciolare come un grissino.
Pur mettendo da parte la pervicacia priva di pensiero del movimento cinque stelle, non speri di poter contare mai sugli uomini e le donne del partito democratico: hanno spalle robuste e antenati feroci con canini gocciolanti sangue, quando si tratta di indossare abiti giacobini. E neanche si illuda sulla stampa. Pensi solo al fatto che da giorni e giorni il quotidiano del partito a cinque stelle chiama la sua riforma con l’appellativo di “salvaladri”. Il riferimento è a Berlusconi, ma soprattutto al suo primo ministro di giustizia, Alfredo Biondi, e al suo tentativo (sacrosanto) di riforma delle norme sulla custodia cautelare. Con quel decreto, che non fu mai convertito, erano stati liberati 2.750 detenuti (di cui solo 43 di quelli che Travaglio non chiama “imputati”, ma direttamente “ladri” ), e ne tornò in carcere meno del dieci per cento dopo la caduta del provvedimento, cui seguì in seguito anche quella del primo governo Berlusconi. Il che significa che non c’era nessuna necessità delle manette.
Bisogna sempre conoscere la storia, per capire i tranelli e gli agguati del mondo giacobino, che è giudiziario, politico, ma anche e spesso soprattutto mediatico. Definire “salvaladri” la legge sulla giustizia del presidente Draghi e della ministra Cartabia, è già in sé una minaccia: attenti, perché farete la fine di Berlusconi e Biondi. E dire, da parte di chi si occupa ogni giorno di reati di ‘ndrangheta, che una riforma può mettere in crisi la sicurezza nazionale e render conveniente delinquere è molto vicino a un colpo di Stato. Prima ancora che a un tentativo di far cadere il governo.
© Riproduzione riservata