Tra vendetta e ragione
I successi tattici di Israele e il dilemma dell’Iran: Haniyeh odiato a Gaza, Hamas ed Hezbollah pozzi senza fondo
La via d’uscita ora è difficile da trovare. I tre motivi che fanno desistere l’Iran dal mettere in atto l’escalation: la guerra diretta con Israele, il pantano in cui fi nirebbe e la sua instabile economia
Israele ha imparato dal giorno della sua nascita che in Medio Oriente il linguaggio più compreso è quello militare. Organizzazioni come Hamas, Hezbollah, come quella dei ribelli Houthi e di altri gruppi del cosiddetto “asse della resistenza”, capiscono solo il linguaggio della forza. Sono riluttanti al dialogo e si sentono protette dalla Repubblica islamica iraniana che fin dai suoi primordi, quando fu fondata dall’imam Khomeini, negò il diritto all’esistenza dello Stato di Israele ponendosi l’obiettivo di scacciare «l’alleato sionista» degli Usa dal Medio Oriente, visto come «usurpatore» di terre musulmane e una «entità intrusa» la cui esistenza era ritenuta incompatibile con gli ideali della rivoluzione che mirano a islamizzare l’intera regione secondo il credo sciita e a dotarsi dell’arma nucleare per affermare la propria egemonia in tutto il mondo islamico e oltre.
Dilemma Iran e una certezza: Haniyeh non era amato a Gaza
Netanyahu, eliminando il capo politico di Hamas, Haniyeh considerato un ostacolo sulla strada di un qualsivoglia negoziato e che conduceva una battaglia personale in conflitto con le fazioni a Gaza, ha messo l’Iran ed Hezbollah di fronte a un dilemma politico: una risposta debole eroderebbe ulteriormente la loro deterrenza e incoraggerebbe Israele ad andare avanti nel decapitare le organizzazioni palestinesi che mirano alla distruzione dello Stato ebraico; ma se colpissero troppo duramente darebbero a Bibi il pretesto per lanciare una guerra più ampia. Inoltre, altro successo determinato dall’eliminazione di Haniyeh è quello di aver messo a nudo il fatto che il defunto capo politico di Hamas non godeva di un grande favore a Gaza perché era ritenuto troppo lontano dalla sunna, la Fratellanza musulmana; troppo vicino a Teheran e un leader senza alcun peso e con molti nemici intorno. La sua morte ha messo dunque in evidenza che Hamas è assimilabile alla sua ala militare che ormai controlla tutta l’organizzazione, per questo motivo il consiglio della shura ha scelto Yahya Sinwar che vive nei suoi tunnel sotterranei a Gaza, ricercato perché considerato uno dei più crudeli terroristi palestinesi che ha ideato il pogrom nei kibbutz il 7 ottobre.
Le mosse tattiche di Israele
L’Iran ed Hezbollah ritengono di aver perso parecchio della loro deterrenza e questo è avvenuto proprio grazie all’operazione militare anti Hamas condotta da Israele a Gaza. La ritorsione del 13 aprile messa in atto da Teheran dopo l’attacco israeliano al quartier generale delle Forze Qods a Damasco in Siria dove furono uccisi 7 comandanti pasdaran, non è stata sufficiente a limitare la potenza militare e la determinazione di Israele nella sua ferma intenzione di neutralizzare Hamas e tutti i proxi dell’Iran nella regione. E dunque ciò costringe Teheran ad usare molta cautela in una eventuale risposta militare. L’Iran e i suoi proxi sanno che una risposta troppo forte potrebbe indurre Netanyahu a lanciare una campagna militare devastante contro Teheran che oltretutto gli farebbe riscuotere successo nell’opinione internazionale per il fatto che essa sarebbe giustificata dal legittimo diritto di autodifesa. Teheran continua a ripetere di essere contraria a qualsiasi conflitto regionale a tutto campo. Quelle otto drammatiche ore in cui Israele ha fatto fuori il numero due di Hezbollah a Beirut e il numero uno di Hamas a Teheran hanno dimostrato quanto sia vulnerabile il loro regime. Tutto fa pensare che l’Iran non reagirà in maniera forte nei confronti dello Stato ebraico e forse non lo farà nemmeno Hezbollah che ha non pochi problemi di consenso in patria.
I tre motivi che frenano Teheran
Vi sono almeno tre motivi che fanno desistere Teheran dal mettere in atto una reazione tale da scatenare un’escalation. In primo luogo, in una eventuale guerra diretta con Gerusalemme, sa che non avrebbe alcuna possibilità di successo; in secondo luogo, l’Iran non ha alcun interesse a rischiare di impantanarsi in un conflitto in Medio Oriente. In terzo luogo, l’Iran versa in condizioni economiche disastrose, soprattutto da quando nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump si ritirò dall’accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015 dai Paesi del P5+1 e impose sanzioni ancora più severe all’Iran. Soprattutto per questo è stato eletto alla presidenza dell’Iran Pezeshkian, presentato da Khamenei come un “moderato” e quindi come una figura rassicurante e che dunque per il regime iraniano deve fungere da parafulmine per l’apertura di un dialogo con l’occidente finalizzato alla rimozione delle sanzioni, condizione necessaria per rimettere in piedi il paese e salvare la Repubblica dei mullah e dei pasdaran che è molto odiata in patria, avversata e contestata sia da larghi settori dell’imprenditoria del paese che dalle generazioni più giovani in lotta per la liberazione dal regime dei mullah accusati anche di sfruttare la causa palestinese come un giocattolo retorico per rafforzare la propria influenza nel mondo musulmano.
I pozzi senza fondo Hamas ed Hezbollah
I proxi di Teheran, come Hamas ed Hezbollah libanese, sono visti dalla popolazione come pozzi senza fondo che consumano la ricchezza iraniana e che producono l’isolamento internazionale del paese. Ritengono che la questione palestinese abbia soppiantato la necessità di provvedere alle loro urgenze economiche. Per tutto questo Teheran non può fare nulla di più, soprattutto ora, dopo le pressioni ricevute da Washington e da Shoigu, consigliere della sicurezza della Federazione russa che da Mosca ha portato a Khamenei un messaggio molto eloquente: bisogna evitare azioni che possono innescare una guerra regionale. L’Iran prende tempo perché vuole cercare una via di uscita per salvare la propria lesa onorabilità.
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