“A Trenta anni da Tangentopoli e da mafiopoli – Ruolo politico anomalo della magistratura non in linea con la Costituzione per configurare una fantomatica Repubblica giudiziaria” è il titolo della conferenza promossa dal Centro Studi Leonardo Da Vinci e dall’Associazione Riformismo e Libertà. Molti gli ospiti intervenuti, tra cui il nostro direttore Piero Sansonetti, e moderati dal direttore del Dubbio Davide Varì.
Ad aprire i lavori Giuseppe Gargani, avvocato ed ex parlamentare europeo, che ha iniziato soffermandosi proprio sulla stagione di Mani Pulite: “Oggi riteniamo di poter pretendere una risposta sul perché vi furono iniziative giudiziarie che non si svolgevano nelle sedi riservate, sacrali della giustizia, ma richiedevano il consenso di interi settori dell’opinione pubblica. Tanti cittadini si riunivano davanti ai tribunali per osannare gli eroi che mettevano alla gogna i politici, praticando un metodo che non ha precedenti nella storia repubblicana. Noi non chiediamo inchieste parlamentari, chiediamo un confronto con i principali protagonisti di quel periodo, per un esame di coscienza critica e per riconoscere responsabilità colpose o dolose di ciascuno”. Allora vi fu “un disegno strategico, ebbe a dire un senatore di grande spessore come Giovanni Pellegrino, che aveva come obiettivo una posizione di primato istituzionale della procura della Repubblica e quindi della magistratura inquirente”.
Presente anche l’ex magistrato Luca Palamara: “Tanti dovevano parlare per uscire, durante gli interrogatori bisognava fare questo o quel nome: una prassi che purtroppo poi si è protratta molto nel sistema giudiziario italiano, da Tangentopoli a Mafiopoli”. Non poteva mancare il giornalista Enzo Carra, che fu condotto dal carcere al tribunale con gli “schiavettoni” ai polsi per essere incriminato da Davigo, suscitando vasto clamore: “Questo è un Paese che vive in uno stato di eccezione dal 1969, da Piazza Fontana, con cui coincide la fine della verginità di questo Paese: sia chiaro questo”. A lui è seguito Raffaele Marino, sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli, a cui è stato chiesto se ai tempi di Tangentopoli vi sia stata una torsione del diritto: “Davigo non rappresenta la magistratura, nel senso che le sue idee sono le sue idee, non sono le idee della magistratura, dico io per fortuna. Io ho vissuto Tangentopoli come gip: ricordo che c’era l’avvocato Taormina, che girava per le carceri a chiedere ai giudici che cosa dovesse dire il suo assistito perché potesse essere liberato. Questo era – diciamo – il clima dell’epoca”.
Tra i politici anche l’onorevole Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione: “Le storie che ho sentito mi pare che siano ancora molto attuali. Avete ricordato come il pm si scegliesse il gip, Italo Ghitti. Lo ha raccontato persino il giudice Salvini. Oggi succede la stessa cosa. Ho presentato un’interrogazione al Governo, chiedendo di sapere quante sono in percentuale le richieste di custodia cautelare respinte dai gip. La direzione statistica del Ministero della Giustizia non possiede questo dato. Capite in che in che situazione siamo! Probabilmente il dato si avvicina allo zero per cento. Così come non sappiamo quante richieste di intercettazione e di proroga delle indagini preliminari vengano rigettate”.
Le conclusioni sono state affidate a Fabrizio Cicchitto, Presidente della Fondazione Riformismo e Libertà: “Il dibattito finora svolto per il trentennio di Mani pulite è caratterizzato da un livello elevato di mistificazione. È stato cancellato il fatto che il finanziamento irregolare dei partiti ha visto come originari protagonisti i padri della patria, da De Gasperi, a Togliatti, a Nenni, a Saragat, a Fanfani. Era un finanziamento che proveniva dalla Cia e dal Kgb e da una serie di fonti interne dalla Fiat, alle cooperative rosse, alle industrie a partecipazione statale. Il “partito diverso” dalle mani pulite di cui parlò Enrico Berlinguer era un’assoluta mistificazione. Molto prima di Forza Italia e ovviamente in termini del tutto rovesciati il primo partito-azienda è stato il Pci. Tutti sapevano tutto compresi i magistrati e i giornalisti. Don Sturzo e Ernesto Rossi fecero denunce assai precise essendo del tutto inascoltati. Poi con il 1989 c’è stato il crollo del comunismo e con il trattato di Maastricht il sistema di Tangentopoli è diventato antieconomico. In uno Stato normale quel sistema avrebbe dovuto essere smontato con un’intesa fra tutte le forze politiche e la stessa magistratura, invece è avvenuto il contrario. I poteri forti hanno deciso di smontare il potere dei partiti, in primo luogo quella della Dc e del Psi. Anche in seguito al ’68 nella magistratura e nel giornalismo sono maturate tendenze radicali. Di qui è scattato il circo mediatico-giudiziario fondato su tre pool fra loro collegati: il pool dei pm di Milano, il pool dei direttori di giornali, il pool dei cronisti giudiziari. Tutto ciò fu fondato su due pesi e due misure. Il sistema di Tangentopoli coinvolgeva tutti e invece un numero assai ristretto di alti dirigenti del Pds e della sinistra Dc poteva non sapere, invece Craxi, tutti i dirigenti del Psi, i leader di centro-destra della Dc, i segretari dei partiti laici non potevano non sapere”.