Se c’è una data che ancora suscita opinioni e reazioni diverse, talora, persino inconciliabili, è la data del 25 aprile. E’ un dato di fatto. Comunque la si voglia mettere. A distanza di settantacinque anni, attardarsi ancora a spiegare le ragioni che dividono gli italiani su una delle pagine, per alcuni tragiche, per altri eroiche, della nostra storia, rischia soltanto di riaccendere divisioni e alimentare odii mai del tutto sopiti. Per non parlare delle strumentalizzazioni che, da una parte e dall’altra, puntuamente si rincorrono nella lettura parziale di avvenimenti che segnarono con il sangue gli anni bui della guerra, e quelli che ne seguirono, con spietate vendette e orribili delitti rimasti per sempre impuniti.
Su il Riformista Fabrizio Cicchitto, intellettuale e politico che stimo, antifascita storico, di quelli non adusi a celebrare le date scadendo nel ritualismo e nella retorica, ha posto una questione di fondo, intrecciando la riflessione sul consumarsi della “dialettica politica” negli ultimi anni, messa ancor più a nudo dalla “democrazia dimezzata” che stiamo vivendo in epoca di Coronavirus, con la necessità di rivitalizzare il 25 aprile in una chiave di opposizione al “troppo negazionismo in giro per l’Europa”. La questione centrale, per Cicchitto, è quella di alimentare la “memoria storica” della Resistenza, inverandone gli effetti taumaturgici sugli accadimenti che stanno, in qualche modo, segnando l’epoca attuale.
L’idea non è banale, ovviamente. Anche se, e questo é un punto che non può essere trascurato, il ricordo di un evento cui si attribuisce una dimensione storica, per sua stessa portata e valore, mal si adatta ad essere replicato, tirato, stiracchiato ad uso e consumo di avvenimenti successivi, collocati in momenti e fasi differenti del tempo, anche se di apparente simiglianza. Rivisitando il pensiero di Benedetto Croce, lo storico contemporaneo Pierre Nora ci rammenta che memoria e storia non sono sinonimi. Tutto le oppone. La memoria risente delle nostre passioni e sentimenti. La storia appartiene a tutti e nessuno se ne può fare unico sacerdote e interprete.
Tutt’altra cosa è il giudizio storico. Che è sempre problematico ed esige analisi critica, tempo e intelligenza. Cicchitto rifugge dal “tentativo di annullamento della memoria storica in nome di una memoria contrapposta francamente inaccettabile”, da cui “emergono tendenze del tutto nuove di vario segno, ma tutte caratterizzate da un autoritarismo che in alcuni casi arriva al totalitarismo: basta evocare i nomi. Orban, Erdogan, fino a Putin e alla Cina molto di moda oggi in Italia perchè sostenuta in vario modo o da un pezzo di grillini o da una parte dei leghisti”.
E’ del tutto evidente che siamo di fronte ad una ardita operazione assimilatoria di esperienze ed assetti politici che pure presentano fra loro non poche differenze. Ad assolvere il nostro, soccorre il proposito di difendere la democrazia e la libertà attraverso l’indispensabile memoria della Resistenza, che quei valori incarnò, anche se lo stesso Cicchitto riconosce i limiti di un tale esercizio, “perché la situazione attuale richiede profonde innovazioni”.
Non me ne voglia l’amico Cicchitto, ma a me pare di rilevare un certo anacronismo, una forzatura nel ragionamento, che confligge con la storica sacralità che si vuole attribuire alla data del 25 aprile, comunque la si voglia interpretare. A scanso di equivoci, avendone rispettato la celebrazione, come è doveroso, quando ho avuto responsabilità istituzionali, da sindaco e presidente della provincia di Roma, trovo molto più pertinente ai fini di quel che mi permetto di suggerire fra poco, quanto confessa Cicchitto tra le righe dell’articolo: “Personalmente, se fossi il sindaco di una grande città del Nord, fatta la manifestazione ufficiale mi recherei anche ad un cimitero dei caduti della RSI perché vanno ricordati con rispetto anche quei giovani che in buona fede sono morti per una causa sbagliata”.
Lasciando agli storici il diritto/dovere di fare il loro mestiere e confinando il giudizio morale nell’animo di ognuno, senza indulgere nella retorica tra vinti e vincitori, non è forse arrivato il momento di sconfiggere il “bigottismo dell’antifascismo” insieme al vittimismo di chi la guerra la perse, dando a questa data un significato di vera, autentica riappacificazione? Giampaolo Pansa ci ha lasciato testimonianze incancellabili sulla guerra civile italiana e il sangue dei vinti. Anche lui era un antifascista a tutto tondo, come lo è Fabrizio Cicchitto. Ma ora, caro Fabrizio, il miglior messaggio che possiamo offrire agli italiani per esprimere un sentimento autenticamente unitario è quello della ricomposizione di una ferita profonda e lacerante. Una giornata, dunque, di concordia nazionale. Nel rispetto di chi, dall’una e dall’altra parte, sacrificò la propria vita per ideali in cui credeva. Un popolo diventa maturo, più forte e consapevole del proprio destino, se sa accettare intera la sua storia. Non solo una parte di essa.