Il 25 aprile in fondo è una festa semplice. È il giorno che riunisce nella stessa immensa casa i figli della parte giusta e i figli della parte sbagliata. È un rito che non ha più bisogno di tensione politica ma solo di tensione morale e civile. Perché dobbiamo trasformarlo in una sagra di paese che finisce regolarmente in rissa, in un palco da cui elargire palate di retorica, in una saporita baruffa di confraternite rivali? Domani il mondo converrà a Roma per celebrare Papa Francesco: possiamo dare all’Italia il volto di un eterno adolescente che non vuole diventare grande?

Il manto della democrazia, nel 2025, avvolge tutti gli italiani. Li rassicura, li rafforza. Si dice che negli anni ‘50 a fare l’Italia furono soprattutto la nazionale di calcio e alcuni programmi televisivi. Solo quelli univano il Nord e il Sud, i monarchici e i repubblicani, i giovani e i vecchi. Oggi per fortuna non è più così. C’è un patrimonio condiviso che rappresenta la forza più profonda di una fase storica difficile, come mai dal 1945 ad oggi. Il tradimento più profondo del 25 aprile è proprio quello di farne pretesto per scontri ideologici o per il piccolo cabotaggio della politica quotidiana.

La terrazza di Sorrentino per vincere la disperazione

Sappiamo bene che la tentazione di una certa sinistra è di sentirsi stabilmente accomodata su una delle terrazze di Sorrentino, dove discettare di antifascismo diventa una ragione di vita, o, come direbbe Jep Gambardella, un modo per vincere la disperazione. Ma oggi, se vogliamo un 25 aprile che sventola nei nostri cieli e nel nostro cuore, dipingiamolo con il blu e il giallo della bandiera dell’Ucraina. L’Occidente libero può e deve fare ancora tantissimo per i valori che furono al centro della vita dei nostri nonni ottant’anni fa. Ma la premessa è di non farlo pensando a un fascismo inventato, quando in realtà siamo circondati dalla cappa sempre più soffocante di un fascismo vero e subdolo che prospera proprio sulle nostre divisioni.

La destra e la finzione Trump

In realtà il 25 aprile, proprio perché celebra ottant’anni di democrazia e di libertà, dovrebbe servire per riflettere sulle troppe ipocrisie che aleggiano sulle nostre celebrazioni. Quelle della destra, che finge di credere che la politica di Trump sia compatibile con i valori fondanti del nostro sistema, nel momento stesso in cui incorona Vladimir Putin come arbitro del nuovo ordine europeo. E quelle della sinistra, che ondeggia tra le sue contraddizioni, con un campo largo che non esita ad estendersi fino al campo minato del neutralismo. E sarebbe bello anche un 25 aprile che guarda in faccia l’ipocrisia di tanti apologeti postumi di un Papa che, pur con qualche eccesso, ha chiesto fino all’ultimo ai leader del mondo di non tacere di fronte a una ragion di Stato sempre più cieca e spietata. Insomma, sarebbe l’ora di una Liberazione che supera l’antifascismo del secolo scorso per diventare festa della libertà futura. Della libertà di tutti.