Con Giancarlo De Cataldo diciamo che non ci si annoia mai. La sua letteratura così fine e coerente serba sempre qualche freccia nuova, lucente: perché nei noir di un certo livello brilla la luce dei dettagli, degli indizi, per chi li sa scorgere. Questo ultimo “Il bacio del calabrone” (Einaudi) è un noir classico, perfetto nell’equilibrio tra l’intreccio e la psicologia dei personaggi. C’è una morte apparentemente accidentale, un uomo fulminato da un calabrone, e si potrebbe chiuderla lì. Invece il magistrato Manrico Spinori, il “Contino”, sente che la cosa non quadra.

Piano piano individuerà gli indizi nel buio di una storia che si svolge nel mondo del teatro: la vittima, l’attempato Tito Cannelli, è infatti il titolare della prestigiosa maison che ha creato i costumi di scena di una “Traviata” che si rappresenta al teatro Costanzi, il teatro dell’Opera a Roma, che Manrico va a sentire rimandone tutt’altro che soddisfatto, meno male che c’è una cena di gala con una donna affascinante («A colpirlo furono soprattutto le orecchie») che si chiama Vera Grant (Vera come Vera Miles, Grant come Cary Grant? Omaggi hitchcockiani?), quando improvvisamente Cannelli si accascia sotto i riflettori, punto da un calabrone esotico.

Urla, panico, è morto! Che l’opera rappresentata al momento del dramma sia “Traviata” e che il nostro inquirente si chiami Manrico come il protagonista del “Trovatore” rinvia al lato oscuro del genio di Verdi? Se così fosse sarebbe una squisitezza letteraria, probabile per un appassionato di musica come l’autore. Da gran giallista Cataldo sa tratteggiare certi personaggi minori, come tutta la squadra di poliziotte e poliziotti che seguono le indagini, oppure alcuni stati d’animo appena accennati, dalla passione inespressa alla cattiveria pura ma soprattutto sa innestare la figura del protagonista in un clima decadente e inaspettatamente infido come quello di un certo mondo teatrale. E naturalmente sa tenere il lettore sulla corda, riga dopo riga, pagina dopo pagina, sino alla conclusione del romanzo. Insomma dietro un calabrone “giapponese” si può nascondere tutto un mondo molto “romano” mille volte più crudele di un povero insetto. L’importante è non credere alle apparenze.