A gennaio un semplice militante del Partito Democratico si dimette denunciando l’arroganza del sistema di potere deluchiano, la subordinazione del partito regionale alle volontà del Presidente della Giunta, l’immobilismo degli organismi dirigenti, l’assenza di iniziativa e, per i militanti, di agibilità per fare politica con le idee. Il gesto ha una certa eco sulla stampa non solo locale perchè quel militante ha la fortuna di avere un po’ di reputazione e visibilità. Incredibilmente nessun dirigente regionale aveva mai stigmatizzato pubblicamente fatti gravi come una segretaria regionale rimasta incompleta per problemi tra correnti e una Direzione regionale mai riunita in tre anni se una volta per approvare le liste delle elezioni regionali e ricandidare De Luca. Un silenzio, quello dei dirigenti, che si protrarrà ancora per settimane e mesi, rotto solo in seguito da qualche voce isolata.

L’eco di quella iniziativa si rafforza notevolmente quando qualche settimana dopo, e siamo a marzo, un gruppo di intellettuali (di cui, incidentalmente, fa parte il medesimo militante) scrive un appello a Letta, che ancora una volta denuncia che c’è “un problema in Campania” e che una legge sul terzo mandato per il Presidente sarebbe una pietra tombale sulla regione. A quel punto Letta afferma pubblicamente che saranno dare risposte alle “questioni poste da dirigenti e intellettuali”. Voi che capite? Forse quello che capisce Annunziata, il quale, segretario regionale e uomo vicino a De Luca, si dimette “per ragioni personali”. Salvo ricollocarsi subito in due società dell’orbita regionale: prima l’Ifel e poi la Scabec, di cui assume la presidenza, nel silenzio del partito nazionale.

Dalla segretaria nazionale si fa sapere pubblicamente che si rispetteranno le dinamiche territoriali, pronti a intervenire con il commissariamento in caso di stallo. Partono i giochi, nei giorni in cui viene arrestato Nicola Oddati, il dirigente campano vicino a De Luca, con un incarico nazionale conferitogli da Letta, quello delle Agorà. I deluchiani vorrebbero eleggere in Assemblea Stefano Graziano, persona vicina a Letta e al suo compagno di corrente Boccia, responsabile nazionale degli enti locali del partito. L’iniziativa incontra resistenze per diverse ragioni e comincia una lunga diatriba sulla legittimazione della composizione dell’organo competente, l’assemblea regionale (mai riunita), tra forzature e verifiche. Intervengono anche i Garanti nazionali che stoppa i colpi di mano tentati dal Presidente dell’Assemblea, Landolfi. Alla fine alcuni componenti, facenti capo a specifiche aree del partito, si dimettono per chiudere la vicenda facendo decadere l’organo e aprire necessariamente al commissariamento. Sono ormai passati quasi tre mesi e altri giorni trascorreranno ancora per far trascorrere la scadenza delle elezioni amministrative.

Alla fine arriva il commissario. Il già citato Francesco Boccia. Il quale dice subito tre cose: esprime rammarico che l’assemblea non sia riuscita a esprimere un segretario a causa di tattiche ostruzionistiche (sic); afferma che guiderà il partito in modo collegiale e fa sapere che le correnti intese come personalismo non saranno ascoltate. Neanche una parola su tre anni di nulla, sulle ragioni delle dimissioni di Annunziata, sul potere di De Luca in Campania. Anzi, per prima cosa va dal Presidente e gli chiede cordialmente di allargare la Giunta ai Cinque Stelle. E si fa vedere in giro con l’amico Stefano Graziano, il dirigente bocciato dall’assemblea, possibile sub-commissario. Tanto rumore per nulla. Un commissariamento per l’ennesima gestione dell’esistente. La finestra di opportunità per cambiare le cose profondamente si è chiusa. C’è sempre una ragione per non cambiare niente, per digerire tutto. Questa volta l’urgenza sono le politiche alle porte. Si tratta solo di trovare un equilibrio per le liste, tra ricandidati e qualche nuovo entrante. Campania e Mezzogiorno possono attendere.