Il caso
Il boss Patrizio Bosti scarcerato in anticipo e risarcito: detenzione disumana

Il carcere duro è troppo, e disumano, anche per un boss del calibro di Patrizio Bosti, leader della cosiddetta Alleanza di Secondigliano, la cupola di potere camorrista che da decenni è al centro di storie criminali e inchieste dell’Antimafia. “Condizioni disumane”, si legge nel provvedimento con cui Bosti ha ottenuto il riconoscimento di una detenzione che gli ha riservato un trattamento lesivo della dignità umana al punto da ottenere dallo Stato un credito sugli anni da scontare in cella che gli è valso la scarcerazione e il risarcimento di 2.672 euro. Bosti ha così potuto lasciare il carcere di Parma con tre anni e mezzo di anticipo rispetto al fine pena.
Arrestato l’ultima volta in Spagna nel 2008, il boss aveva un cumulo di condanne a 43 anni di carcere per reati vari di camorra ma nessun ergastolo e questo ha fatto scendere il tetto, come prevede la legge, a trent’anni. Con i soli benefici della liberazione anticipata tuttavia non sarebbe uscito così presto dal carcere, se non fosse intervenuta la decisione dei giudici della Sorveglianza riconoscendogli un credito per il danno patito nei difficili anni del carcere e dell’isolamento. Una decisione destinata a far discutere come le motivazioni alla base del ricorso che condannano certe condizioni di vita all’interno delle carceri del nostro paese. La dignità da garantire a ogni detenuto, i diritti da tutelare anche dietro le sbarre, la funzione rieducativa della pena sono discorsi ripetuti da anni. La decisione del tribunale di Sorveglianza di Bologna scarcerando Bosti ha dettato una linea.
“Sulle scarcerazioni recenti vedo tante polemiche diversive da tifosi sugli spalti e mi chiedo – si interroga Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania – se sia possibile ipotizzare che i circa duecento magistrati, servitori dello Stato al pari di tanti altri magistrati vocianti da diversi pulpiti e che si sono pronunciati sulle scarcerazioni ai domiciliari di 376 boss, siano tutti eversori delle leggi italiane”. È una domanda provocatoria, quella di Ciambriello, che da anni si batte per i diritti dei detenuti.
“Perché queste scarcerazioni non sono state decise da cappellani, garanti, o buonisti. Non si tratta di dividerci tra giustizialisti e garantisti ma di essere legalitari. Tutti i detenuti – conclude Ciambriello – anche quelli invisibili e ignoti, devono avere riconosciuti i loro diritti fondamentali, alla salute e alla vita”.
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