Un garantista al Dap
Il capo del Dap non è un Pm: grillini e leghisti ingoiano il rospo, panico al Fatto Quotidiano
Sarà perché ci sono ben altre urgenze -le stragi in Ucraina, l’energia e il caro-bollette, l’uscita dall’emergenza pandemia- fatto sta che anche i partiti di governo più recalcitranti, Lega e Movimento cinque stelle, hanno dovuto deglutire la nomina da parte del Consiglio dei ministri unanime del giudice Carlo Renoldi a capo del Dap. Non se ne pentiranno, crediamo, quando anche i più zucconi capiranno che cosa è il mondo del carcere, un’istituzione totale di oltre cinquantamila persone, di cui la metà non ancora processate, private della libertà per le ragioni più disparate, con un eccesso di ricorso alla norma penale che riempie le prigioni invece di svuotarle e di affrontare i problemi di devianza sociale per quel che sono, cioè spesso dei non-reati.
Abbiamo sempre ritenuto inopportuno il fatto che il ruolo di capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria fosse un pubblico ministero, e in particolare uno dei cosiddetti pm “antimafia”, proprio per questo motivo. Perché hanno la tendenza prima di tutto a privilegiare l’esigenza della sicurezza rispetto a quella della funzione di reinserimento del detenuto nella società. E poi, specie per quei magistrati che provengono dall’aver ricoperto il ruolo di pubblici accusatori nei maxiprocessi di mafia, per la tentazione di vedere i detenuti solo come assassini pericolosi. Può sembrare un paradosso, ma il sapere che cosa pensi il dottor Renoldi dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario o dell’ergastolo ostativo è del tutto secondario, interessa solo agli ossessionati del Fatto quotidiano e a quelli dell’antimafia militante. Il mondo della giustizia, e anche del carcere, ha ben altri e gravi problemi. O vogliamo tornare ai tempi in cui ogni domenica sera da Giletti si sparava contro il capo del Dap Francesco Basentini, che veniva messo in croce per una circolare in cui, in piena pandemia, si chiedeva alle direzioni carcerarie di segnalare i nominativi di anziani e malati in modo da snellire il sovraffollamento ed evitare maggiori contagi? E quando lo stesso ministro Bonafede veniva preso d’assalto perché al posto di Basentini non aveva nominato un pm “antimafia” doc come Nino Di Matteo.
Carlo Renoldi non fa parte di quei giri lì. Durante un convegno li aveva anche criticati come coloro che stanno ancorati alle immaginette di Falcone e Borsellino in modo ideologico. Naturalmente, poiché chiunque può essere impiccato per una frase isolata dal contesto o volutamente fraintesa, la stupidità militante era partita lancia in resta contro il giudice e la sua nomina, voluta dalla ministra Cartabia. Ma pochi avevano fatto, nei giorni in cui era trapelata la notizia della sua probabile nomina al Dap, lo sforzo di informarsi bene, di capire chi è, che cosa ha fatto (e non solo quel che ha detto in qualche convegno) nella sua vita di magistrato, Carlo Renoldi. Forse i suoi dieci anni trascorsi nel ruolo di giudice di sorveglianza a Cagliari, invece di essere un titolo di merito per la competenza, spaventano. Così come il fatto che abbia sollevato alcune questioni di costituzionalità su norme penitenziarie che la Corte ha accolto o abbia fatto parte di una commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario, forse induce qualche sospetto. Soprattutto da parte di quel mondo, per fortuna non più così numeroso, per cui il vero magistrato, quello che conta, è solo colui che ha quanto meno fatto il pm nel fallimentare “processo trattativa”.
Gli cede il posto Dino Petralia, che si è dimesso dalla magistratura, prima che da capo del Dap, con qualche mese di anticipo dalla scadenza dei 70 anni, età della pensione per i magistrati. Se ne va dopo un commiato negli uffici della ministra Cartabia cui hanno partecipato, come lui stesso racconta, i vertici della magistratura e del Csm. Costretto a precisare di non esser stato cacciato per far posto al giudice Renoldi. Come se non fosse stata la stessa Guardasigilli, al momento del suo ingresso nel governo, a confermare sia Dino Petralia che Roberto Tartaglia come suo vice al vertice del Dap. Ma i tartufoni del Fatto quotidiano preferiscono l’immagine di una ministra amica dei mafiosi che caccia un ex pm “antimafia” per far posto a uno che, proprio come lei, preferirebbe secondo loro usare la mano morbida con i boss. Come se non esistesse la Costituzione a imporre un certo trattamento nei confronti dei detenuti. Come se non esistesse la presunzione d’innocenza, ribadita dal Parlamento con voto unanime. Agli auguri di buon lavoro al nuovo capo del Dap con parole incoraggianti da parte del Garante dei detenuti e dell’associazione Antigone e a quelli del deputato del Pd Walter Verini (che sente la necessità di ricordare l’esigenza di sicurezza nelle carceri, quasi timoroso di esser additato per intelligenza con il nemico), non possiamo che aggiungere i nostri. Per l’uguaglianza dei diritti. Di tutti.
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