Linciato, rovinato e assolto
Il capolavoro di Gratteri: Femìa sbattuto in carcere per 5 anni, era innocente

Rocco Femìa è innocente. Scagionato da tutto. Proprio da tutto. Non è mafioso come sostenevano i Pm e come hanno detto i giudici di primo e secondo grado. Non ha preso tangenti, non ha corrotto, non è stato corrotto, non ha neppure trafficato influenze. Però si è fatto 5 anni di prigione. Anzi, un po’ di più: cinque anni e nove giorni. Rocco Femìa è l’ex sindaco di Marina di Gioiosa, nella Locride. Oggi ha sessantadue anni, sposato, quattro figli. Sono andati ad arrestarlo la mattina del 3 maggio del 2011. Erano le quattro. Ha fatto appena in tempo a salutare la moglie e la bambina piccola, quella di otto anni. Poi è iniziato l’inferno. Carcere di Reggio, in otto in una cella prevista per due detenuti, con i topi, gli scarafaggi, un filo d’acqua. Poi Palermo, Vibo, Locri.
I processi, le condanne. Il vetro che gli impediva di accarezzare i parenti quando andavano a trovarlo. Non poteva, perché era un mafioso pericoloso. Solo la bambina, ma dopo i dodici anni neanche lei. Le accuse basate sul nulla. Alla fine è intervenuta la Cassazione. Ha detto che il processo non stava in piedi e ha fatto ripetere l’appello, cancellando l’ipotesi di associazione mafiosa e chiedendo ai giudici di secondo grado di cercare eventuali prove di concorso esterno o di corruzione. ma spiegando che non bastava un sentito dire: occorreva almeno qualche indizio. Restava in piedi solo l’ipotesi che avesse favorito qualcuno negli appalti. Però era certo che in cambio non aveva ricevuto niente. Visto che i magistrati non trovavano prove a carico, gli avvocati si sono presi la briga di trovare le prove dell’innocenza. Hanno portato ai giudici il rendiconto di tutti gli appalti concessi dal Comune nei tre anni incriminati. Uno per uno. Tutti. È risultato che nessuno degli appalti era andato al gruppo – presunto, ma solo presunto mafioso – che era stato indicato dall’accusa, e che tutti – tutti – non erano stati assegnati direttamente dal Comune ma demandati alla Stazione unica appaltante della Provincia. Lo hanno assolto, non potevano fare altro: assolto con formula piena. Ora bisogna vedere come lo risarciranno. Che conseguenze avrà questo flop mostruoso della giustizia.
Rocco Femia aveva 52 quando è iniziato il suo inferno. Era un insegnante di educazione fisica, da sempre impegnato in politica. Lui si definisce ancora oggi “democristiano”. Se lo avverti che la Dc non c’è più, ride. Adesso sta nel centrodestra. Dagli anni ottanta, quando era ragazzo, fa parte del consiglio comunale. Nel 2008 è stato eletto sindaco. Ha quattro figli, tre grandi e una piccolina. Aveva otto anni quella notte. Oggi ne ha 18. Due anni fa ha scritto la cronaca del suo incubo, ed è quella che pubblichiamo qui. Leggetela, e provate a non commuovervi se ci riuscite.
Rocco evidentemente piace poco alla Procura. E così decidono di arrestarlo perché hanno sentito una telefonata di un certo Mazzaferro, un suo coetaneo con il quale giocava a pallone da ragazzo, che parlava di lui e parlava al cellulare con lui di politica. Rocco e Mazzaferro si conoscevano da tantissimi anni, avevano le figlie che andavano alla stessa scuola.
È così strano che parlassero tra loro? Dice: si, ma parlavano di politica. Già, e in genere voi se chiacchierate con un sindaco impegnato in campagna elettorale di che parlate, di Formula Uno? Agli inquirenti la telefonata è stata sufficiente. Ma Mazzaferro è un capocosca? Io non lo so: so che è incensurato. Vabbé, vabbé, dettagli.
Quella mattina di maggio scatta la retata. La ordina il dottor Gratteri. Chi, scusi? Il dottor Gratteri, lo conoscete? Quarantacinque arresti. Tra i quali diversi assessori ed ex assessori. Oggi, se Dio vuole sono tutti liberi. Chi ha fatto due anni, chi tre, chi quattro. Beh, succede. Dei quarantacinque arrestati solo cinque sono stati condannati, ma per piccolo spaccio, niente a che fare con l’associazione mafiosa e col Comune di Marina di Gioiosa . Il giorno dell’arresto la premiata società procure-più-giornali festeggia. Conferenze stampa, Tv, titoli anche in prima pagina non solo sui locali, anche sulle grandi testate. Repubblica, Il Corriere. Volete sapere cosa scrisse Repubblica quel giorno?
Ecco qui, lo trascrivo: «I Mazzaferro si erano presi il Comune di Marina di Gioiosa Ionica. Erano loro a governare la cittadina della costa ionica reggina. Avevano eletto il sindaco, deciso buona parte degli assessori, stabilito ogni cosa. E ora gestivano tutto in maniera diretta. Ogni scelta passava dalle stanze di Rocco Mazzaferro e del resto del clan. Ogni appalto, ogni fornitura, era cosa loro. Se l’erano “guadagnato” a suon di preferenze pilotate “in maniera militare”. Battendo persino gli Aquino, il potente clan della Locride che invece avrebbe sostenuto la lista rivale. Il sindaco Rocco Femia, detto “pichetta” (zappa, ndr) era organico alla cosca. Così come lo erano anche Vincenzo Ieraci, detto “u menzogna” (il bugiardo, ndr), assessore all’Ambiente; Rocco Agostino, detto “gemello”, assessore alla Politiche sociali, e Francesco Marrapodi, ex assessore ai Lavori pubblici ( si dimise lo scorso anno a seguito di un problema di salute). Tutti uomini della ‘ ndrangheta di Marina di Gioiosa, tutti “malacarne” dicono i magistrati della Dda di Reggio Calabria che erano entrati nella stanza dei bottoni. E per dirla con le parole del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, erano loro a “gestire il potere, e tutto quello che ne deriva per conto dei Mazzaferro” ».
Capito? Avete qualche dubbio? No, nemmeno un condizionale o almeno un congiuntivo, eppure esiste il congiuntivo ed esiste il condizionale nella grammatica italiana. Il sindaco è organico alla mafia: in cella. E la sua reputazione può essere riempita di sputi. Cosa hanno scritto i grandi giornali quando poi è arrivata l’assoluzione. Davvero lo volete sapere? Non lo indovinate? Non ha scritto niente. Zero. Non solo la procura festeggiò gli arresti. Il procuratore generale antimafia, che all’epoca era Pietro Grasso – futuro leader politico di Leu – scese in Calabria per dire che era stato assestato un colpo micidiale alla ‘ndrangheta nella Locride. Anche lui senza condizionali, senza congiuntivi. Volete sapere quando Pietro Grasso (e magari anche Nicola Gratteri) hanno chiesto scusa a Femìa e agli altri trentanove? Mai. solo silenzio.
P.S. Mi chiedo: chissà se qualcuno dei miei colleghi -penso a Fazio, a Formigli, a Iacona – la prossima volta che intervisteranno Gratteri (lo fanno spessissimo) gli faranno una domandina su Femìa? Tranquilli: non gliela faranno. Il giornalismo è giornalismo, non si permette mica di giudicare i giudici.
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