Avanti! della Domenica
Il cappio del Rosatellum, vincoli e contraddizioni di una legge da cambiare
Non bastava una crisi di governo indecifrabile a contrassegnare questa torrida estate. Con l’inevitabile scioglimento anticipato delle Camere per la prima volta dalla nascita della Repubblica voteremo in autunno per eleggere il prossimo Parlamento. Lo faremo il prossimo 25 settembrecon la legge elettorale in vigore, quel Rosatellumda tanti demonizzato ma da nessuno modificato durante questa pessima legislatura che chiude i battenti.
Pertanto, anche le imminenti elezioni politiche saranno gravate dai vincoli e dalle contraddizioni che questo sistema elettorale comporta, con l’aggravante di dover eleggere 345 parlamentari in meno rispetto al 2018, per effetto della riforma costituzionale confermata dal referendumpopolare il 20 settembre 2020. Quattrocento deputati e duecento senatori, dunque, di cui 12 (8 e 4) eletti all’estero.
Il sistema è di tipo misto in entrata, ma proporzionale in uscita. Spieghiamoci meglio.
Per la Camera (392 seggi) il territorio nazionale è suddiviso in Circoscrizioni elettorali all’interno delle quali circa un terzo dei seggi viene assegnato in collegi uninominali e i restanti 2/3 vengono invece ripartiti in collegi plurinominali. Nei collegi uninominali viene eletto il candidato che ottiene un voto in più rispetto agli avversari (maggioranza semplice), mentre nei collegi plurinominali l’elezione avviene mediante ripartizione proporzionale, su scala nazionale, sulla base dei voti complessivamente conseguiti da ciascuna lista. Una volta stabilito il numero di seggi ottenuti da una lista a livello nazionale, questi vengono distribuiti fra i vari collegi plurinominali in virtù delle percentuali ottenute in ciascuno di essi, decretando l’elezione dei candidati compresi nella rispettiva lista a livello plurinominale, secondo l’ordine di presentazione.
Al Senato (196 seggi) il meccanismo è lo stesso, ad eccezione della base territoriale che non è nazionale ma regionale, salvo per le soglie di sbarramento che operano anch’esse a livello nazionale.
Per poter concorrere alla ripartizione dei seggi nella “quota proporzionale”, infatti, sono previste due analoghe soglie di esclusione per entrambe le Camere: minimo il 10% dei voti per le coalizioni e minimo il 3% dei voti per le liste che corrono da sole. Ciò vuol dire che per accedere al riparto ogni lista deve raggiungere almeno il 3%, sia dentro che fuori una coalizione.
All’elettore vengono consegnate due schede, una per la Camera e una per il Senato. In ogni scheda viene indicato il candidato nel collegio uninominale di appartenenza, nonché la lista ovvero le liste fra loro collegate che concorrono sul collegio plurinominale. L’elettore ha a disposizione un solo voto per ogni scheda, non potendo votare un candidato nell’uninominale e una lista ad esso non collegata. Questo elemento rappresenta uno dei punti di maggiore criticità della legge, perché non distingue la competizione maggioritaria sul collegio uninominale da quella proporzionale sul plurinominale. In altri termini, il sistema da misto in entrata diventa di fatto proporzionale in uscita poiché l’effetto maggioritario del collegio uninominale, di fatto, non c’è, salvo rare eccezioni. I risultati del 2018 nei singoli collegi, del resto, sono lì a confermarlo.
La presenza dei candidati sull’uninominale però produce una rilevante conseguenza, in quanto obbliga i partiti a stringere accordi elettorali o alleanze politiche per essere competitivi nell’assegnazione di un terzo di deputati e senatori. È esattamente questa la ragione per la quale in queste ore sono in corso diverse trattative per comporre coalizioni ampie.
Alla luce di ciò è quindi comprensibile e ragionevole come il segretario del PD, Enrico Letta, stia cercando di tessere la tela degli accordi, unica strada per rendere davvero competitiva la coalizione di centrosinistra, tecnicamente prima ancora che politicamente.
Nei prossimi giorni scopriremo l’esito di questi colloqui, ma già adesso possiamo rilevare quanto uno dei primi compiti del prossimo Parlamento dovrà essere il superamento di questa legge elettorale che non consente all’elettore molta libertà di scelta – a cominciare dalle liste bloccate che impediscono quel voto di preferenza da sempre obiettivo di noi socialisti –, e che, come un cappio, obbliga alla costruzione di coalizioni senza però generare un risultato maggioritario complessivo. Hic Rhodus, hic salta.
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