Il racconto
Il carcere, anche una grande fabbrica di criminali. Il giovane ergastolano: “Una volta uscito ho rimesso il passamontagna, avevo più determinazione e violenza”
“Il magistrato ha personalmente appurato che, per poter scorgere il cielo dalla finestra della camera di pernottamento è necessario appoggiarsi al muro e alla finestra stessa e sporgere la vista pressoché verticalmente. (…) Ritiene il Tribunale che le condizioni detentive di fatto, cui è sottoposto … comportino un attuale pregiudizio sia al diritto alla salute sia a quello a una detenzione conforme al senso di umanità”: così scrive il Tribunale di Sorveglianza di Bologna in risposta al reclamo di una persona detenuta relativo alle condizioni di vita nelle “camere di pernottamento” delle nostre galere, e lo scrive dopo aver visto personalmente quelle condizioni.
L’esempio di Calamandrei
Nel 1948 Piero Calamandrei, in un intervento alla Camera, diceva: “Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello. Il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per qualche mese in un reclusorio, confuso coi carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe esser pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima esperimentato quella realtà sulla quale deve sorvegliare. Vedere! Questo è il punto essenziale”.
La testimonianza
Bisognerebbe allora davvero che tutti vedessero, e lo facesse prima di tutto il nuovo Commissario all’edilizia penitenziaria, non però in una visita/passerella come tante che ci sono state in questi anni, ma come il magistrato di Calamandrei, “confuso tra i carcerati”, parlando con loro e facendosi raccontare come si vive davvero nelle nostre galere. E allora forse scoprirebbe che le carceri, per come sono costruite e organizzate a tutt’oggi, sono delle grandi fabbriche di criminali, come racconta un giovane ergastolano, Giuliano N.: “Dopo circa dieci giorni dall’arresto mi hanno trasferito in un carcere della Calabria. Sono stato accolto da una dozzina di ragazzi come me, che, per i trascorsi e le ‘imprese’ che mi avevano visto protagonista sin da molto giovane, riconoscevano in me una sorta di punto di riferimento. I primi tre giorni ero considerato un ospite: era una sorta di ‘formazione comportamentale’ che viene fatta a tutti quelli che si ritengono ragazzi validi. Ci veniva spiegato come camminare, vestirsi, sedersi a tavola, rivolgersi agli agenti e tutta un’altra serie di raccomandazioni che si dovevano seguire alla lettera: era la ‘legge del carcere’, che non rispondeva a nessuna autorità istituzionale. Le nostre giornate le passavamo tra il cortile e la cella a discutere di processi, condanne, sentenze, ma quello che più di tutto ci accomunava era la voglia di quasi tutti di emergere in un mondo che ai nostri occhi sembrava affascinante: era il mondo del crimine, che illudendoci ci prometteva soldi facili, bella vita e potere. Venni scarcerato dopo pochi mesi; l’esperienza detentiva non mi aiutò a redimermi, anzi, fu come se quella breve detenzione mi avesse conferito una medaglia da esibire sul petto per fare vedere ai più giovani che il carcere non mi aveva piegato, bensì mi aveva reso più forte. L’esperienza dei reparti differenziati mi insegnò a non mostrare mai le emozioni, gli stati d’animo e allo stesso tempo mi fece maturare sentimenti di odio e di rabbia che, una volta fuori, difficilmente sarei stato capace di gestire da solo. Infatti, appena fuori dal carcere, il giorno dopo indossai il passamontagna e ricominciai a fare quello che sapevo fare, ma con molta più determinazione e violenza nei confronti di tutto e di tutti. Ero diventato una bomba ad orologeria: la mia rabbia esplose, trovando conforto nell’azione criminale, nell’adrenalina del rischio e della rivalsa, prendendo con la forza tutto quello che desideravo e che volevo, senza considerare niente e nessuno. (…) Da quel momento in poi il mio percorso autodistruttivo ebbe i giorni contati, infatti poco dopo venni arrestato e ricondotto in carcere. Per essere condannato all’ergastolo, a poco più di vent’anni”.
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