Il carcere non consente alcuna sicurezza sociale. Pensare che chiudere nelle strutture penitenziarie chi è accusato di reati possa rendere la comunità più sicura è soltanto un’illusione. Fior di studi hanno dimostrato che la recidiva è bassa tra coloro che hanno scontato una condanna con misure alternative ed è invece alta (anche fino al 70%) tra coloro che hanno vissuto la reclusione in carcere fine a se stessa, con pochi e sporadici percorsi di rieducazione. Basterebbero questi numeri, e gli esempi di sistemi penitenziari europei come quelli della Norvegia o della Spagna, per rendersi conto che il nostro sistema carcere è fallito. Eppure questo “fallimento” ci costa ogni anno milioni di euro. E ogni anno sempre di più.

Per il 2022 la bozza del bilancio del Ministero della Giustizia aumenta di 124,4 milioni di euro i fondi a disposizione per l’Amministrazione penitenziaria, che passano da 3,1 a 3,2 miliardi. Nell’annuale rapporto sulle carceri l’Associazione Antigone affronta, tra gli altri, il tema dei costi del sistema penitenziario, un argomento sul quale nei dibattiti pubblici e politici si tende molto spesso a sorvolare. Leggendo, invece, i dati nel dettaglio ogni facile entusiasmo, di quelli su cui la politica punta quando ha interesse a fare colpo sull’opinione pubblica, si spegne. Più fondi per le carceri non significa affatto più investimenti per rendere finalmente le carceri un luogo più umano (e sarebbe pure ora, visto che l’Italia è stata condannata dall’Europa per il trattamento inumano e degradante dei suoi istituti di pena).

Più euro per l’amministrazione penitenziaria non si tradurranno in maniera proporzionale in iniziative per fare più manutenzione delle strutture fatiscenti e per potenziare le attività di reinserimento?. Non è detto. Quel che è certo è che la spesa giornaliera per detenuto è in aumento rispetto agli anni scorsi: ammontava a 128,28 euro nel 2017 ed è salita a 164,33 euro nel 2022. Il carcere, quindi, costa alla collettività sempre di più, ma per non svolgere la sua funzione sociale e costituzionale. Assurdo, no? Di questi 3,2 miliardi che il Ministero mette in campo, 2 (quindi più del 60%) sono destinati al corpo di polizia penitenziaria. Cioè si continua ad investire sulla repressione, sulla reclusione finalizzata a se stessa.

In particolare si investe anche su personale amministrativo e magistrati (quasi 30 milioni, +14,5% secondo i dati del report Antigone). Ora, è vero che ci sono nuove assunzioni di personale da fare ma perché far diminuire i fondi dedicati alla manutenzione ordinaria degli immobili e prevedere un incremento dei fondi per l’edilizia penitenziaria (passati da 127, 3 milioni del 2021 ai 203 milioni del 2022, sicuramente anche grazie al Pnrr ma per costruire qualche nuovo padiglione)? E ancora, perché far diminuire di quasi 6 milioni (-1,8%) il capitolo dedicato all’accoglienza, al trattamento penitenziario e di reinserimento delle persone sottoposte a misure giudiziarie, come emerge dal report di Antigone?

A fronte di due milioni in più alla voce “Spese di ogni genere” riguardanti la rieducazione dei detenuti e quattro milioni per generiche “Altre spese” relative a mantenimento e assistenza dei detenuti, si trovano 15 milioni in meno destinati alla riqualificazione di impianti e attrezzature per le lavorazioni penitenziarie all’interno degli istituti di pena. «Una diminuzione che desta qualche preoccupazione», commenta Antigone. Forse sui bilanci relativi alla giustizia in generale, e su quelli relativi al sistema penitenziario in particolare, bisognerebbe fare delle riflessioni in più. Basti pensare che la spesa legata ai ricorsi dei detenuti per le condizioni di detenzione in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel 2020 è stata di 617,5 milioni. Che le somme per i risarcimenti per ingiusta detenzione nei casi di errori giudiziari ammontano a 50 milioni di euro mentre le somme per la riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo, quindi per le lungaggini processuali, ammontano a 64 milioni di euro. Soldi della malagiustizia che gravano sulle tasche della comunità. soldi che potrebbero essere spesi per rendere tutto migliore. Anche le carceri.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).