Siamo dietro le sbarre. In carcere. In queste celle ci sono stati 79 suicidi nei primi undici mesi dell’anno 2022. Si tratta del dato più alto degli ultimi dieci anni. 79 persone che hanno deciso di togliersi la vita perché vivere in quelle carceri è come vivere in un girone infernale. Negli ultimi dieci anni, negli Istituti penitenziari nazionali, si sono verificati 583 suicidi di persone di età compresa tra i 18 anni e gli 83 anni. Con un lenzuolo stretto intorno al collo, inalando il gas che viene fuori dai fornelli per cucinare, lasciandosi morire semplicemente… Si uccidono così gli uomini e le donne che vivono in cella, gli invisibili.

Eppure, la loro anima pesa ventuno grammi, esattamente come la nostra, come quella dei liberi, come i bravi di questa società. Solo che quando muoiono loro fanno tutti spallucce: che importa tanto era un derelitto, un rifiuto umano, uno che dopotutto stava in carcere. E nessuno dice niente. Eppure i numeri non mentono, parlano, urlano. Sono i numeri diffusi dall’ultima relazione del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma. A Napoli, tra le celle del carcere di Poggioreale, negli ultimi dieci anni, c’è stato il più alto numero di suicidi: 21 e si contano anche 267 tentativi di suicidio.

Il carcere napoletano è diventato lo scenario di una strage. È una strage senza precedenti, è una strage che passa in sordina tra l’indifferenza della politica che anzi ha come unica soluzione la costruzione di nuove carceri-cimitero e dei media. Non c’è spazio per gli ultimi né dentro ai penitenziari dove il sovraffollamento è ormai una regola né fuori dove la gente libera, quella che appartiene alla società civile non ha e non vuole avere idea di cosa succede nelle carceri. Ma torniamo ai numeri diffusi dal garante. Analizzando i dati personali, si rileva che delle 79 persone che si sono tolte la vita 74 erano uomini e 5 donne. Va ricordato che la popolazione detentiva complessiva alla data del 30 novembre è di 56.524 persone, di cui 2.389 donne. Queste ultime – lo ricordiamo – rappresentano mediamente il 4% della popolazione detenuta. Riguardo alla nazionalità, 46 erano italiane e 33 straniere (18 delle quali senza fissa dimora), provenienti da 16 diversi Paesi: Albania (5), Tunisia (5), Marocco (5), Algeria (2), Repubblica Dominicana (2), Romania (2), Nigeria (2), Brasile (1), Nuova Guinea (1), Pakistan (1), Cina (1), Croazia (1), Eritrea (1), Gambia (1), Georgia (1), Ghana (1), Siria (1). Le fasce d’età più presenti sono quelle tra i 26 e i 39 anni (33 persone) e tra i 40 e i 54 anni (28 persone); le restanti si distribuiscono nelle classi 18-25 anni (9 persone), 55-69 anni (6 persone) e ultrasettantenni (3 persone).

Sono i detenuti più giovani che non ha retto il peso della disumanità del carcere e hanno deciso di farla finita. Le fasce d’età più presenti nella relazione, infatti, sono quelle tra i 26 e i 39 anni (33 persone) e tra i 40 e i 54 anni (28 persone); le restanti si distribuiscono nelle classi 18- 25 anni (9 persone), 55-69 anni (6 persone) e ultrasettantenni (3 persone). Si rileva che 12 persone appartengono alle fasce d’età dei più giovani e dei più anziani e che l’età media delle 79 persone che si sono suicidate è di 40 anni. Con riferimento alle modalità che hanno caratterizzato l’atto suicidario, in 71 casi (89,9%) è avvenuto per impiccamento, in 4 per inalazione di gas; in 3 per lesioni alle vene. In un caso il dato non è stato riportato. Leggere come si sono tolte la vita 79 persone che erano sotto la tutela dello Stato forse apre uno spiraglio per riflettere su questa smania giustizialista e manettara che affligge la nostra società.

È facile dire «più carcere per tutti, più carcere per più tempo». Ma se carcere fa rima con morte siamo ancora convinti di continuare a urlare questo? Prima della morte arriva la solitudine. A proposito del periodo dell’anno in cui avvengono i suicidi, dallo studio è emersa una loro distribuzione nell’anno solare che incontra ciclicamente dei picchi di maggior concentrazione in occasione di periodi festivi, come il mese di agosto, nei quali, verosimilmente, diminuisce negli Istituti la presenza di personale e di soggetti della comunità esterna e si riducono le attività, a cominciare da quella scolastica. Sono soli sempre, in alcuni periodi dell’anno la solitudine diventa insopportabile. La carenza di medici, psicologi, educatori è una piaga della quale abbiamo scritto e scritto, lo hanno urlato i garanti e i familiari dei detenuti. Ma nulla.

Sono parole vuote, sono tutti sordi. E sordi sono stati pure alle grida d’aiuto dei detenuti che poi hanno deciso di farla finita. La lettura ha fatto emergere che 65 persone (pari all’82,28%) erano coinvolte in altri eventi critici, mentre altre 26 (ossia il 33%) avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio (in 7 casi addirittura più di un tentativo). Inoltre, 23 persone (ossia per il 29% dei casi) erano state sottoposte alla misura della “grande sorveglianza” e di queste 19 lo erano anche al momento del suicidio. Grande sorveglianza. Leggere queste due parole mentre scorriamo la lista di suicidi in carcere è un ossimoro. Nessuno li sorveglia, non li sorveglia la politica, la società civile. Non li sorveglia uno Stato che è fuorilegge…

Avatar photo

Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.