Giudicato colpevole di tre capi di imputazione per peculato dal Tribunale del Vaticano e condannato a 5 anni e 6 mesi con conseguente confisca di 200 milioni e 500 mila dollari americani come profitto derivante dal reato, con in più un’ammenda di 8.000 euro e con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, Eminenza Giovanni Angelo Becciu torna a parlare. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera ribadendo la sua innocenza nel processo più lungo che la Santa Sede abbia mai affrontato, e svelando un retroscena sul rapporto con Papa Francesco.

L’inchiesta

Il cardinale era finito al centro dell’inchiesta sull’immobile di lusso acquistato dal Vaticano a Londra, per un valore di oltre 200 milioni di euro, quando era sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede: “Urlerò al mondo la mia innocenza con la forza della verità. Io ho agito in base a quanto è stato studiato e proposto dai nostri uffici. Da quattro anni sono stato defraudato dell’onore. L’investimento della somma fu autorizzata dal mio Superiore, l’allora Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Io non mi occupavo di investimenti. Come Sostituto avevo ben altro a cui pensare. L’ufficio mi presentò l’occasione come massimamente vantaggioso per la Santa sede. Nessun reato, nessun beneficio personale. E quando la Segreteria di Stato decise di acquistare l’intera proprietà del Palazzo io non ero più Sostituto”.

La rabbia contro il Vaticano e il retroscena sulla telefonata a Papa Francesco

La rabbia di Becciu è anche per il modus operandi del Vaticano: “Con il processo a mio carico ha perso un’occasione per mostrare al mondo come amministrare la giustizia nel rispetto dei diritti degli accusati. Io sarei un cardinale affarista? Mai un centesimo è andato nelle mie tasche. Ho dato la mia vita per la Chiesa servendola in tutto il mondo, nelle varie Nunziature, con dedizione e impegno”. Ma è sul rapporto con Papa Francesco che Becciu si sofferma: “mi disse di sottopormi al giudizio con tranquillità”, e torna sulla registrazione della telefonata. “Con il processo alle porte e il Santo Padre in condizioni di salute precarie, chiesi a Papa Francesco se poteva mettere per iscritto cose che sapevamo solo io e lui, che mi aveva autorizzato a mediare per la liberazione di una suora colombiana in Mali. Mi chiese di scrivergli una lettera e di attendere la sua risposta. Ma la lettera che ricevetti fu dura, severa, un linguaggio che non era il suo. Non lo riconoscevo. Lo richiamai, lo feci per salvarmi, e registrai il nostro colloquio, non usai mai quella registrazione ma corsi subito da Francesco per scusarmi e spiegarmi. Ero disperato. Sono stato condannato per aver truffato in questa vicenda il Papa: è un’assurdità totale. Purtroppo qualcuno ha detto al Papa tante falsità contro di me”.

In attesa delle motivazioni della sentenza, il processo d’appello potrebbe cominciare con il Giubileo del 2025: “Io spero che la Corte d’Appello riconosca la mia innocenza – conclude Becciu -. Non penso all’amnistia o a chiedere la grazia. Sarebbe meglio che arrivasse prima, temo che sarebbe un danno enorme per la Chiesa e per lo stesso Giubileo”.

Redazione

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