Il voto sul bilancio comunale
Il caso de Magistris, il sindaco salvato sempre in extremis dall’opposizione
L’amministrazione de Magistris è destinata a diventare un caso di studio. Non solo per il debito record, la discutibile gestione del patrimonio e i proclami mai tramutatisi in un modello gestionale adeguato a una grande azienda di servizi come il Comune di Napoli. Ma anche per un sindaco capace di rimanere in sella quando tutti lo davano per spacciato. Merito non del primo cittadino, ma dell’opportunismo dei partiti, pronti a sacrificare il futuro della città sull’altare del basso calcolo politico. Lo dimostra il rendiconto del 2019 che il Consiglio comunale è chiamato ad approvare nelle prossime ore. Parliamo di un consuntivo che certifica il disastro provocato dall’amministrazione de Magistris in quasi dieci anni alla guida di Napoli: debito aumentato da 800 a 2.700 milioni, patrimonio immobiliare svenduto, capacità di riscossione ai minimi storici. Ci sarebbero tutti i presupposti, dunque, per staccare la spina a Dema che, tra l’altro, non ha una maggioranza.
Per approvare il rendiconto gli servirebbero 21 voti, ma ne ha soltanto 18. Quelli indispensabili per evitare il commissariamento e arrivare indenne a fine consiliatura, però, potrebbe garantirglieli Forza Italia. Cioè la stessa compagine che qualche mese fa ha raccolto le firme per la mozione di sfiducia al sindaco, poi bocciata dal Consiglio. Lo fanno intendere le dichiarazioni rilasciate al Mattino da Stanislao Lanzotti, referente cittadino e capogruppo di Fi nell’assemblea partenopea: «I creditori sarebbero penalizzati dalla bocciatura del rendiconto. E non ci sono le condizioni per votare a settembre». Insomma, le cose stanno così. In primavera Fi raccoglie le firme per sfiduciare il sindaco ma, dopo poco più di due mesi, è pronta a lanciargli il salvagente. Italia Viva, Partito democratico e Movimento 5 Stelle annunciano che, al momento della votazione, usciranno dall’aula in aperto dissenso rispetto alla gestione finanziaria targata de Magistris. Iv, però, è la stessa forza politica che a giugno ha salvato il primo cittadino non votando la sfiducia. Il Pd è lo stesso che ha più volte chiuso gli occhi davanti ai pasticci arancioni e ha persino stretto un accordo con Dema per far sì che Sandro Ruotolo venisse eletto senatore.
Ed è pure la stessa formazione che, insieme con il M5s, ha partorito la norma che, fino al 30 giugno 2021, evita il dissesto finanziario a circa mille Comuni, a cominciare da Napoli. Ecco perché Dema è un caso di studio: passerà alla storia come il sindaco capace di governare senza maggioranza e senza opposizione. Resta da capire come sia possibile che, al momento opportuno, il primo cittadino benefici sempre di un aiutino. I benpensanti si appelleranno a più o meno evidenti “ragioni congiunturali” o, come nel caso di Lanzotti, al “bene dei creditori”. Ma se traduciamo il politichese in italiano, il termine esatto è opportunismo. Cioè un mero calcolo di convenienza politica che a un sindaco dal consenso mai così basso, come certificato in tempi non sospetti dal Sole 24 Ore, affianca un’opposizione mai così poco credibile. Il de profundis, dunque, per la classe dirigente napoletana.
Desiderio di conservare la poltrona – e relativa indennità – fino alla fine della consiliatura? Necessità di prendere tempo – magari nel caso di Fi – perché mancano un candidato sindaco e un programma per rimediare allo sfacelo di Dema? Tutto è possibile. E, a questo punto, non c’è da meravigliarsi davanti al florilegio di liste civiche annunciato per le prossime comunali. Forse è proprio lì, nella (migliore) società civile, che bisogna attingere per formare la classe dirigente del domani: competente, dotata di una visione e finalmente slegata dalla politica di piccolo cabotaggio.
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