Focus sui candidati con la toga
Il caso De Raho e la tristezza della politica che rincorre i pm: non è invasione di poteri dello Stato?
A circa un mese dalle elezioni, i partiti stanno presentando le liste dei candidati. Nonostante la riduzione del numero dei parlamentari eleggibili, resta la consuetudine d’indicare personalità della società civile all’apice di notorietà. La politica rinnega se stessa e preferisce lasciare fuori iscritti di rilievo, pur di attirare l’attenzione dell’elettore.
Non potevano mancare, dopo l’emergenza sanitaria, medici e virologi, che costituiscono quest’anno la vera novità. Resta la tradizione d’inserire nomi di magistrati, ancora in servizio ovvero in pensione per raggiunti limiti di età. Sui primi, abbiamo, già in passato, manifestato ampio dissenso alle così dette “porte girevoli””, per innumerevoli ragioni. Tra queste la primaria esigenza di non apparire mai schierati con l’una o l’altra parte politica; l’importanza e l’unicità del lavoro svolto, che richiederebbe ampia concentrazione perché in gioco c’è la vita di persone e, spesso, il futuro di città, regioni e dello stesso Paese.
La città di Napoli, ne è un esempio chiarissimo. Il peso di tale responsabilità dovrebbe allontanare da altre attività, per quanto ritenute nobili, anche perché la coperta del processo penale è sempre più corta e nelle aule si rabbrividisce dalla vergogna per quanto accade. Allo stesso tempo, non si abbandona la nave in tempesta, per comode collocazioni in ministeri, ritenendo con le proprie competenze di salvare il Paese, perché si fa solo un’invasione di campo e ciò che ancora più grave si entra a far parte di un altro potere dello Stato, passando da quello giudiziario a quello legislativo o esecutivo. Un salto doppio o triplo, con rientro nella precedente posizione, che non dovrebbe essere consentito. La separazione di tali poteri è un principio giuridico essenziale in uno Stato democratico.
Poiché tutto ciò non è chiaro alla magistratura, ci auguriamo che presto quelle porte girevoli si blocchino del tutto, come da tempo chiedono le Camere Penali. Discorso del tutto diverso va fatto per i togati che, per raggiunti limiti di età, vanno in pensione ed aspirano ad altri ruoli. Non vi è dubbio che la loro esclusione da una possibile seconda vita, da svolgere in politica, rispetto ad altre categorie, sarebbe profondamente ingiusta. L’analisi, pertanto, va fatta non da tale punto di vista, ma da quello di coloro che offrono tali possibilità. Perché scegliere un magistrato settantenne, o ancora più anziano, per una competizione elettorale? Escludendo, tra l’altro, forze interne al proprio partito, che hanno lavorato per raggiungere gli obiettivi prefissati?
La risposta è una sola, le altre che vengono date sono alibi di copertura. Con l’inserimento del nome del magistrato si vuole garantire all’elettore inesperto la verginità di una lista, pura e proiettata verso una sicura governabilità del Paese. Il movimento 5 stelle ha ritenuto di candidare, inserendoli in posti di eleggibilità certa, ben due magistrati da pochissimo in pensione e provenienti dagli Uffici di Procura: l’ex Procuratore Generale di Palermo, Roberto Scarpinato, e l’ex Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho. Quest’ultima candidatura ripercorre una strada già tracciata in passato, in quanto i due precedenti procuratori antimafia, Franco Roberti e Pietro Grasso, sono stati eletti rispettivamente nelle liste del Partito Democratico e di Liberi e Uguali.
Il primo è tutt’ora europarlamentare, il secondo è senatore, e, dal 2013 al 2018, addirittura è stato presidente del Senato. Federico Cafiero de Raho, ha concluso la sua attività di Procuratore Antimafia, lo scorso febbraio. Dopo un mese, nel marzo scorso, il ministro della cultura Dario Franceschini lo ha indicato come proprio rappresentante nel Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli, organismo di governo del Teatro Nazionale che gestisce il Teatro Mercadante e il Teatro San Ferdinando. Il mese successivo, in aprile, l’assemblea dei soci lo ha nominato Presidente. Egli, dunque, aveva scelto una seconda vita. Dalle indagini antimafia, alle problematiche organizzative e contabili di un Consiglio di Amministrazione in campo culturale. Dopo solo quattro mesi, all’ex magistrato viene offerta la poltrona, praticamente sicura in Parlamento, ed egli accetta, preparandosi ad una terza vita, quella politica. Non sappiamo se abbandonerà la seconda, offertagli, tra l’altro, da un partito oggi (ma chissà domani) diretto concorrente del suo.
Ora si potrà criticare tale scelta sotto molti punti di vista. In materia di competenze: prima investigatore, coordinatore nazionale antimafia, poi presidente di un Consiglio di Amministrazione di un teatro Stabile, poi aspirante senatore della Repubblica. In materia di conoscenze: per il ruolo ricoperto, ha avuto certamente accesso a dati e notizie che altri non conoscono ed inoltre ha coltivato una serie di rapporti interpersonali ad altri non consentiti. In materia di opportunità: il passaggio quasi senza interruzione da una poltrona ad un’altra. Tutte osservazioni più che corrette. Ma se l’uomo ritiene di non volersi fermare, di avere un enorme bagaglio culturale da poter ancora mettere al servizio del Paese, di volerlo fare non da cittadino, ma da protagonista, nella convinzione che le sue idee troveranno ampio consenso in Parlamento, nulla, al momento, possiamo fare se non indicare al medesimo alcuni punti che, riteniamo egli abbia valutato.
Il partito – ex movimento dell’apriscatole di tonno – che lo ha scelto, non è favorevole ai termovalorizzatori, mentre egli in più occasioni ha dichiarato che tali opere sono utili e sono uno dei mezzi per combattere la mafia. Oltre a questo palese e, certamente, non indifferente contrasto, molte delle affermazioni sulla materia di sua stretta competenza – la Giustizia – con cui dovrà confrontarsi con la dirigenza del partito, sono in palese contrasto con principi costituzionali: come l’idea che “certezza della pena” equivalga a “certezza del carcere”, ignorando che nella nostra Carta, la parola “carcere” non c’è e l’articolo 27 usa il plurale, quando si riferisce alle modalità di scontare la condanna.
Ed ancora, come non ricordare che, nel semplificare le fasi dei procedimenti penali, fu riferito che vi erano le indagini, poi il dibattimento ed infine la condanna. Si potrebbero evidenziare tanti altri temi, come il dolo che si trasforma in colpa, ma lo ribadiamo non è l’ex magistrato in pensione che va criticato, ma il sistema che, come in passato, consente questi immediati pericolosi passaggi di ruolo, senza mettere indispensabili limiti, almeno temporali, che garantirebbero alla comunità gli essenziali percorsi trasparenti, di cui il Paese ha sempre più bisogno.
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