La conferenza dei Vescovi francesi in un comunicato stampa diffuso il giorno dopo la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici ha stigmatizzato duramente la scelta degli organizzatori di proporre il tableau vivant parodia dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci: “Purtroppo – scrivono i prelati d’Oltralpe – la cerimonia comprendeva scene di derisione e di scherno del cristianesimo. Questa mattina – hanno continuato i vescovi – pensiamo a tutti i cristiani di tutti i continenti che sono rimasti feriti dall’eccesso e dalla provocazione di certe scene”. Ma, ancora prima della posizione ufficiale espressa dal clero francese, la polemica si era già innescata e in poche ore si era amplificata enormemente in rete e sulle piattaforme social, in particolare in Francia e in Italia con diverse centinaia di migliaia di post erano stati pubblicati.

Così, seguendo lo sviluppo emotivo – morale dell’indignazione legato agli hashtag di tendenza, tra cui #cène, #ultimacena, #LGBTQIAwearebeatiful, #Gesu, #Dioniso e #Leonardo, si comprende facilmente quanto il dibattito si sia polarizzato e abbia infiammato le diverse camere d’eco che si sono ingaggiate nelle conversazioni digitali. Il metro di questa polarizzazione molto profonda, ma nonostante ciò già in corso di remissione come spesso capita in questi casi, ce la fornisce la molteplicità di incursioni politiche che hanno tentato di innestarsi, per ottenerne in cambio visibilità e interazioni, su una polemica già in atto, o se vogliamo definirla con i tempi dei social già appassita. Con puntuale ritardo i leader politici, ovviamente non solo quelli nostrani, di una polarizzazione quando questa ha già raggiunto il suo plateau e inizia a stabilizzarsi perdendo efficacia e mordente, e provano a mettersi in scia per guadagnare qualche migliaio di like e secondi di attenzione digitale.

Ciò è avvenuto anche nella controversia scoppiata online contro gli organizzatori parigini per rappresentazione di una delle opere più conosciute della tradizione cristiana, tanto che sommersi da una straripante valanga di post hanno dovuto chiedere scusa precisando che la loro intenzione “non era mancare di rispetto a nessun gruppo religioso. Se qualcuno si è offeso, chiediamo scusa. Al contrario – ha dichiarato Anne Descamps, direttrice della comunicazione di Parigi 2024 la nostra intenzione, al contrario, era quella di mostrare tolleranza e comunione”. Soltanto adesso che il tormentone social e mediatico sull’“Ultima cena” si sta spegnendo del tutto, forse vale la pena utilizzare una lente grandangolare per provare a fare delle riflessioni sganciate dalla emotività e che non è neanche necessario che si impantanino nella palude delle interpretazioni teologiche o di quelle più banali della polemica politica a caccia di titoli e di like. Ecco perché, senza andar a scavare troppo in là negli anni, è opportuno sottolineare come nelle nostre società mediatizzate e piattaformizzate, dove l’utente ha acquisito una centralità e un ruolo prima impossibili in quanto si è trasformato in prosumer, cioè egli stesso è prima produttore e poi consumatore senza soluzione di continuità di contenuti digitali, la sacralità delle immagini diventa un concetto fragile, se non aleatorio.

Ciò, sia chiaro, non significa che la fragilità che circonda l’iconografia secolare di un popolo o di una nazione, così come di una cultura religiosa, possa essere legittimante di un processo di dissacrazione tout court o possa giustificare la violazione di diritti e di sensibilità diffuse, solo che si impone una revisione meno rigida dell’idea stessa sacralità delle immagini. In passato, come abbiamo già tristemente sperimentato, proprio questa ortodossia interpretativa è sfociata, ho ha fatto da pretesto a irruzioni violente, a manifestazioni estreme a danno dei presunti infedeli da condannare e punire senza riserve. È sufficiente, proprio restando al capolavoro di Leonardo, rammentare il numero di volte in cui negli ultimi anni l’immagine è stata rigenerata dagli utenti – che pur erano cristiani ma che in tal caso non hanno provato alcun particolare fastidio – nei meme più disparati.

Pensiamo al periodo del Covid, giusto per citare qualche esempio vivo nella nostra memoria – dove ci si è sbizzarriti a rileggere il quadro e dove anche i media hanno pubblicato quelli più divertenti. Ma la galleria di meme in questo caso è davvero ampia a piena di applicazioni, ci sono online delle “ultime cene” con Salvini con i Simpson, con l’immancabile Berlusconi, con Salt Bae con diversi calciatori, insomma chi più ne ha, più ne metta. Senza voler ripescare nella memoria più lontana, la rappresentazione che ne fece nel 1980 Renzo Arbore nel suo Pap’occhio, esempio chiaro di quanto fossimo culturalmente già pronti a convivere con una diversa fragilità dell’iconografia ereditata dai secoli precedenti.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).